ARCHEOBLOG

Giornale archeologico e culturale costantemente aggiornato con le ultime notizie e gli ultimi approfondimenti storico-archeologici



28 settembre 2006

Roma. Gli americani scoprono le terme all'Appia Nuova

In età imperiale le ville e i possedimenti aristocratici più in voga, disseminati nel suburbio di Roma, esibivano terme private. E' quanto continuano a rilevare le scoperte a ridosso di strade importanti, come quella recente dell'impianto termale di Capo di Bove, lungo l'Appia Antica.
L'ultima rivelazione, alla fine di luglio, non è molto distante. Qualche chilometro prima dell'ingresso di Villa dei Quintili (Appia Nuova) sono spuntati a sorpresa sagome di vasche, pezzi di marmo, condotti per l'aria calda.

A portare alla luce ciò che rimane del complesso, sono una trentina di universitari provenienti da diversi atenei statunitensi e canadesi, sotto la guida dell'archeologo Darius Arya, direttore dell'American Institute for Roman (con sede a Boston e a Roma), che finanzia il recupero.
Lo scavo, in un terreno incolto fra quartieri moderni e un tratto dell'acquedotto Marcio, è condotto in collaborazione con il Comune di Roma e per concessione della Soprintendenza archeologica statale.
Avrà la durata di cinque anni e questa prima campagna si è conclusa nella prima metà di agosto. Solo a fine estate, quindi, si potranno trarre conclusioni più precise, anche se Darius Arya, coadiuvato da Dora Cirone, non ha dubbi sull'identificazione: "si tratta di un impianto termale costruito in età adrianea, come indicano i bolli laterizi e poi, tra ristrutturazioni e modifiche, utilizzato fino al VI secolo. Sono state le punte dei crolli, avvenuti dopo secoli di abbandono, a indicarci il sito da indagare, più elevato rispetto alla pianura circostante e probabilmente sistemato su un terrazzamento artificiale".
Una sorte affine ad altre residenze prestigiose vicino a grandi vie di collegamento, spogliate fino allo scheletro e destinate a perdere nomi e riferimenti. Come i resti qui accanto, denominati "Villa delle vignacce", che conservano in minima parte la copertura e svettano solitari. Erano stati studiati nel secolo scorso da Ashby e Lugli e indicati come sale termali: ora che, come si è visto, calidari e frigidari giacevano a una certa distanza sotto tonnellate di terra e pietre, si potrà chiarire la connessione fra le due aree contigue. Ed ecco i primi risultati leggibili: una sala stretta fiancheggiata da due panche rivestite di marmo, che potrebbe essere un apodyterium (spogliatoio); un'altra con una vasca rivestita di tessere di mosaico bianche, che presenta rifacimenti tardi in laterizio; a lato, un piccolo ambiente che si delinea come calidarium, con gradini per scendere in una vasca e tubi di terracotta sulle pareti per il passaggio dell'aria calda. Gli altri ambienti, non ancora scavati fino al piano di calpestio, presentano paramenti in opera reticolata e mista, con alcune tracce delle impostazioni di soffitti a volte, mentre una parete rivestita di pomici suggerisce l'idea di un ninfeo. Le informazioni fornite dal complesso contribuiranno a comprendere vicende e sistemi di vita che si svolgevano nel suburbio romano, dopo il Quarto miglio (specialmente nell'ultimo periodo di utilizzazione), all'arrivo delle soldatesche barbariche.

Fonte: "Il Giornale dell'Arte" - Settembre 2006 - Autore: Marisa Ranieri Panetta

L'articolo è segnalato anche in ARCHEOMEDIA