ARCHEOBLOG

Giornale archeologico e culturale costantemente aggiornato con le ultime notizie e gli ultimi approfondimenti storico-archeologici



29 settembre 2006

Roma. Al Colosseo va in scena l'Iliade

fino al 18 febbraio 2007

La mostra "Iliade", organizzata dalla Soprintendenza archeologica di Roma (9 settembre - 25 febbraio, catalogo Electa) nel Colosseo, per la cura di due celebrità del settore come Angelo Bottini, il soprintendente, e Mario Torelli, ordinario di storia dell'arte greca e romana all'Università di Perugia, espone oltre settanta reperti a illustrare quello che fu il più noto e celebrato poema dell'antichità.
"E' uno dei grandi temi su cui si è formata la cultura classica", spiega Torelli, "e contiamo di riuscire a portare pezzi notevoli, ma il punto nodale", prosegue, "è un altro: ciò che più ci interessa è l'idea della diffusione capillare, in profondo, della imagerie omerica, qualcosa su cui il mondo antico ha lavorato moltissimo. Per secoli, fino alla fine dell'antichità, l'Iliade di Omero è sempre stata un punto di riferimento".
La forte centralità del tema, che del resto ha caratterizzato tutta la serie di esposizioni allestite negli ultimi anni al Colosseo, non comporta l'assenza di pezzi straordinari, come dimostra la raffinatezza dell' Afrodite Charis del Museo Palatino o le pitture pompeiane e le splendide ceramiche attiche a figure rosse richieste per illustrare i momenti salientidella narrazione.
Uno dei grandi temi che gli antichi hanno privilegiato è quello di Teti che consegna le armi al figlio Achille, paradigmatico per la classe aristocratica perchè ne giustifica "per concessione divina" l'uso delle armi. "E' un tema ricorrente", ricorda Torelli, "che la mostra tenta di presentare nella sua complessità, individuando la diversità di spirito e di orizzonte con cui lo stesso soggetto viene ripreso da un greco del V sec. a.C. piuttosto che da un romano del II d.C.". La mostra "Iliade" si divide in varie sezioni: la fortuna, i protagonisti ripartiti in "dei" e in "eroi" greci e troiani, gli antefatti e la vicenda vera e propria. Recuperare l'integrità filologica del racconto non è sempre semplice perchè alla fine sono ben pochi gli episodi dei 24 libri celebri e ripetuti nell'antichità. E se per gli dei la ricerca iconografica è più facile, per gli eroi è molto più complessa perchè celati il più delle volte dietro immagini idealizzate, come nel caso dell'Achille identificabile nella testa del Diroforo del Museo Barraco. I prodromi della storia, con gli antefatti che scatenarono la guerra, non possono prescindere da Paride ed Elena, con uno specchio da Preneste (da Villa Giulia) a raccontare della vanitas femminile, il ratto scolpito in un rilievo dei Vaticani e il sacrificio di Elena raffigurato nel "Quadro della Casa del Pittore Tragico di Pompei" in prestito dal Museo archeologico di Napoli. Quindi statue e teste in marmo di dei ed eroi, dalla ninfa Teti, nella versione di Palazzo Massimo, a Priamo con Cassandra in una pittura pompeiana sempre da Napoli, alla tragica Andromaca della lastra del Museo archeologico di Reggio Calabria. E poi le scene d'amore e di guerra, fino al tragico epilogo con Achille che trascina il corpo di Ettore e la supplica di Priamo per riavere il corpo di suo figlio.

Fonte: " Il Giornale dell'Arte" - Settembre 2006 - Autore: Federico Castelli Gattinara

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Informazioni Tecniche

Orari:
8.30-19 dal 9 al 30 settembre
8.30–18.30 dal 1 ottobre all'ultimo sabato di ottobre
8.30–16.30 dall'ultima domenica di ottobre al 31 dicembre Chiuso 1 gennaio, 25 dicembre
8.30–16.30 dal 2 gennaio al 15 febbraio
8.30–17 dal 16 febbraio
la biglietteria chiude un'ora prima

Informazioni e visite guidate:
Pierreci
tel. +39.06.39967700
www.pierreci.it

28 settembre 2006

Roma. Gli americani scoprono le terme all'Appia Nuova

In età imperiale le ville e i possedimenti aristocratici più in voga, disseminati nel suburbio di Roma, esibivano terme private. E' quanto continuano a rilevare le scoperte a ridosso di strade importanti, come quella recente dell'impianto termale di Capo di Bove, lungo l'Appia Antica.
L'ultima rivelazione, alla fine di luglio, non è molto distante. Qualche chilometro prima dell'ingresso di Villa dei Quintili (Appia Nuova) sono spuntati a sorpresa sagome di vasche, pezzi di marmo, condotti per l'aria calda.

A portare alla luce ciò che rimane del complesso, sono una trentina di universitari provenienti da diversi atenei statunitensi e canadesi, sotto la guida dell'archeologo Darius Arya, direttore dell'American Institute for Roman (con sede a Boston e a Roma), che finanzia il recupero.
Lo scavo, in un terreno incolto fra quartieri moderni e un tratto dell'acquedotto Marcio, è condotto in collaborazione con il Comune di Roma e per concessione della Soprintendenza archeologica statale.
Avrà la durata di cinque anni e questa prima campagna si è conclusa nella prima metà di agosto. Solo a fine estate, quindi, si potranno trarre conclusioni più precise, anche se Darius Arya, coadiuvato da Dora Cirone, non ha dubbi sull'identificazione: "si tratta di un impianto termale costruito in età adrianea, come indicano i bolli laterizi e poi, tra ristrutturazioni e modifiche, utilizzato fino al VI secolo. Sono state le punte dei crolli, avvenuti dopo secoli di abbandono, a indicarci il sito da indagare, più elevato rispetto alla pianura circostante e probabilmente sistemato su un terrazzamento artificiale".
Una sorte affine ad altre residenze prestigiose vicino a grandi vie di collegamento, spogliate fino allo scheletro e destinate a perdere nomi e riferimenti. Come i resti qui accanto, denominati "Villa delle vignacce", che conservano in minima parte la copertura e svettano solitari. Erano stati studiati nel secolo scorso da Ashby e Lugli e indicati come sale termali: ora che, come si è visto, calidari e frigidari giacevano a una certa distanza sotto tonnellate di terra e pietre, si potrà chiarire la connessione fra le due aree contigue. Ed ecco i primi risultati leggibili: una sala stretta fiancheggiata da due panche rivestite di marmo, che potrebbe essere un apodyterium (spogliatoio); un'altra con una vasca rivestita di tessere di mosaico bianche, che presenta rifacimenti tardi in laterizio; a lato, un piccolo ambiente che si delinea come calidarium, con gradini per scendere in una vasca e tubi di terracotta sulle pareti per il passaggio dell'aria calda. Gli altri ambienti, non ancora scavati fino al piano di calpestio, presentano paramenti in opera reticolata e mista, con alcune tracce delle impostazioni di soffitti a volte, mentre una parete rivestita di pomici suggerisce l'idea di un ninfeo. Le informazioni fornite dal complesso contribuiranno a comprendere vicende e sistemi di vita che si svolgevano nel suburbio romano, dopo il Quarto miglio (specialmente nell'ultimo periodo di utilizzazione), all'arrivo delle soldatesche barbariche.

Fonte: "Il Giornale dell'Arte" - Settembre 2006 - Autore: Marisa Ranieri Panetta

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26 settembre 2006

Nuove scoperte nell'antica Lutetia (Parigi)

Un nuovo capitolo della storia della capitale francese è stato scritto dai recenti scavi condotti dall'Inrap nell'area della Montagne Sainte-Geneviève, la collina sul cui versante nord si concentravano i più importanti monumenti di Lutetia (oggi compresa nel V Arr. della città, sulla riva sinistra della Senna). Le indagini hanno riguardato un terreno sul quale, nel 1632, venne fondato il Convento della Visitazione, e che, nel 1910, fu demolito e rimpiazzato dall'Istituto di Geografia. Lo scavo, che si è concentrato soprattutto nella zona in cui sorgeva l'ala orientale del chiostro, ha fatto sì che venissero localizzate le fondazioni e, al di sotto dello spesso strato di terreno, sono emerse le strutture più antiche, di età romana. Molto interessante è stata la scoperta di una strada (databile al periodo augusteo) la cui realizzazione fu preceduta, sempre in età augustea, dalla creazione di un asse viario di dimensioni più ridotte. La strada aveva una carreggiata larga circa 6 m, era provvista di fosse di scolo lungo i bordi e il selciato, era lievemente bombato in modo da favorire lo scivolamento delle acque piovane. Il tracciato fu in uso fino al III sec. d.C., quando poi venne abbandonato. Contemporaneamente alla strada sorsero numerose case: a riguardo è interessante osservare che l'orientamento e l'estensione delle fondazioni originarie rimasero gli stessi nel tempo. Come la strada, anche le case furono abbandonate nel III sec. d.C.

Fonte: "Archeo" - Settembre 2006 - Autore: Stefano Mammini

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24 settembre 2006

Nuove scoperte a Verucchio (RN)

A pochi giorni dal termine degli scavi già indagate una cinquantina di tombe appartenute alle famiglie aristocratiche della prima età del ferro. Mobili in legno, ricchi corredi e una sorpresa assoluta: una tomba con rivestimento circolare in legno. Ricchi corredi con bronzi, legni, ceramiche, elementi di carro e meravigliose fibule in ambra e pasta vitrea. Anche quest'anno non passa giorno senza che gli scavi nella necropoli sotto la Rocca di Verucchio (iniziati lo scorso luglio) restituiscano reperti eccezionali che danno preziose conferme agli studi in corso e riportano al centro dell'attenzione il mondo etrusco e villanoviano.
Il settore indagato in questa seconda campagna di scavo -già in parte esplorato l'anno scorso- sta rivelando un'intensa concentrazione di sepolture caratterizzate da elementi di grande prestigio. Delle 45 tombe finora individuate, una in particolare sta suscitando l'interesse degli archeologi. Procedendo nello scavo di questa sepoltura, al trono, tavolino e poggiapiedi in legno trovati nello strato immediatamente sottostante la copertura del pozzo funerario, si sono aggiunti vasellame in ceramica e soprattutto in bronzo, tra cui alcuni contenitori molto rari, se non unici, nelle tombe principesche già note quali coppe su piede e vasi con coperchio. Il prezioso e ricco corredo, che include notevoli quantità di sostanze organiche importantissime per la ricerca scientifica, conferma che si tratti di una sepoltura reale o quantomeno di uno membri di maggiore spicco nella comunità che utilizzava questa necropoli tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII secolo a.C. Finché non sarà scoperto il corredo personale non sarà possibile determinare se la sepoltura sia appartenuta ad un uomo o a una donna.
"Non è certo casuale -dice Patrizia von Eles, responsabile dello scavo- aver recuperato questa sepoltura molto vicino alla zona da cui proviene la tomba B/1971, appartenente ad un guerriero, ricca di quegli oggetti, simboleggianti il suo potere politico, militare ed anche religioso, che si possono ammirare nella mostra "Il potere e la morte" visitabile presso il Museo Archeologico di Verucchio".
Tra le novità di sicura importanza scientifica, c'è la scoperta di un'altra sepoltura (in corso d'indagine) che presenta un rivestimento circolare in legno: una sorpresa assoluta che apre nuove vie di ricerca e merita di essere al più presto visibile al grande pubblico, insieme al contesto da cui proviene e agli altri preziosi materiali che gli archeologi potranno ancora mettere in luce. Con questi nuovi ritrovamenti e con quelli che si prospettano nel prosieguo degli scavi previsti per l'anno prossimo, la realtà archeologica di Verucchio –già fondamentale per lo studio delle civiltà italiche preromane– continua a fornire ai ricercatori importanti e innovativi spunti di indagine, proprio per l'unicità dei reperti in legno e di altri materiali che solo a Verucchio si sono conservati in modo così eccezionale.
La seconda campagna di scavi nella Necropoli sotto la Rocca di Verucchio è stata avviata grazie alla collaborazione tra il Comune di Verucchio, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e la Provincia di Rimini.
L'équipe di scavo, formata da archeologi esperti, restauratori e un geomorfologo, è integrata da giovani laureati e studenti provenienti da università italiane, danesi, americane, canadesi e spagnole. Anche quest'anno migliaia di persone stanno assistendo allo scavo in diretta su Internet -http://www.raytalk.it/
oppure http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/
grazie alla collaborazione di Raytalk Wireless Professionals, che ha anche fornito le sofisticate attrezzature per la documentazione scientifica.
Le necropoli di Verucchio documentano un aspetto particolare della cultura villanoviana e constano di circa 500 tombe, databili tra IX e VII secolo a.C., appartenenti alle famiglie aristocratiche che controllavano la valle del Marecchia. Le sepolture hanno restituito testimonianze straordinarie e uniche tra cui spiccano mobili, tessuti, ambre e oreficerie che fanno del Museo Civico di Verucchio una realtà di primaria importanza tra i musei archeologici dedicati all'età del ferro in Italia. Le caratteristiche delle tombe e dei corredi permettono di distinguere ruoli differenziati in relazione al rango, al sesso e all'età. I personaggi eminenti assumevano ruoli che univano il potere civile, militare e religioso; la funzione guerriera rivestiva notevole importanza, come in tutte le società dell'età del ferro italiana. D'altro canto anche alle donne erano attribuiti ruoli di prestigio, certamente non limitati all'ambito domestico.
Quando, alla fine del VII secolo a.C., la presenza greca ristruttura le reti di scambio, nell'Adriatico si realizzano nuovi equilibri: Verucchio non sembra in grado di rispondere alla sfida e mantenere un ruolo di rilievo, e il sistema economico e culturale documentato dalle necropoli villanoviane decade rapidamente. Sull'acropoli di Verucchio resta in vita un "santuario" (avente come epicentro una grande voragine naturale) al cui interno sono stati rinvenuti migliaia di oggetti provenienti, oltre che dalla Romagna, anche dall'Etruria e dall'Italia Settentrionale.

Fonte:"Redazione Archeogate" - 22/09/2006 - Comunicato a cura di Carla Conti ( Uff. Stampa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna)

Pagina di approfondimento storico-archeologico dell'Emilia Romagna

23 settembre 2006

Roma. Scoperto il secondo porto

Vi facevano sbarcare gli animali destinati agli spettacoli nelle arene e nel Colosseo. Un porto alternativo a quello di Ostia per evitare il rischio contagio tra gli animali, i naviganti e i cibi. Si trovava all'Infernetto, quartiere tra le pinete di Castelporziano e di Castelfusano lungo la via Cristoforo Colombo, uno dei porti dell'antica Roma. Quello che era considerato solo un indizio avanzato dagli archeologi circa 15 anni fa, ha trovato ora conferma in alcuni ritrovamenti e nello studio avanzato dalla Soprintendenza di Ostia. "E' molto probabile - afferma l'archeologa Flora Panariti - che in questa zona, interessata da un vastissimo stagno, venissero fatti sbarcare gli animali esotici impiegati per i giochi romani. Sempre qui, probabilmente, gli animali erano mantenuti per un breve periodo di quarantena". Le numerose scoperte sono state anticipate ieri in un'assemblea con gli studenti e saranno ora oggetto di studio da parte della Soprintendenza di Ostia. Un acquedotto interrato, dalla sezione di 1 m per un'altezza di 3 m con diversi pozzi di ispezione, è stato scoperto in via Bedollo. Una villa rustica, con impianto produttivo e 3 scheletri, sono venuti alla luce presso via Nicolini. Un viottolo di epoca imperiale si trova tra via Canale della Lingua e via Bertoni. "Un'iscrizione su una lapide scoperta nelle vicinanze, risalente all'epoca Domizianea - aggiunge l'archeologo Andrea Carbonara - indica come il luogo funzionasse da centro di raccolta per gli animali". Tutti i rinvenimenti sono attiribuibili al periodo compreso tra la metà del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. Un'ulteriore conferma a questa rivelazione degli studiosi proviene dal rinvenimento dello scheletro di un elefante nel 1938 nella zona di via del Martin Pescatore, angolo via di Castelporziano. Nel 1990 fu documentata la scoperta di bitte per l'attracco delle navi e alcune infrastrutture. E' verosimile, dunque, che gli animali arrivassero all'Infernetto separati dal resto dei traffici e che qui, - afferma l'archeologa Panariti - presso alcune ville rustiche, venissero sottoposti ad un regime di quarantena.

Fonte: "Il Messaggero" - 23/09/2006 - Autore: Giulio Mancini

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22 settembre 2006

Stabia (Na): nuove scoperte a Villa San Marco

Nell'area del pianoro di Varano si è individuato l'estremo angolo SE del peristilio superiore della Villa San Marco, di cui è emersa una colonna angolare con la stessa decorazione spiraliforme delle altre del porticato; inoltre, è stato rinvenuto uno scheletro di un abitante, forse un fuggitivo. La campagna di scavo, condotta da Giovanna Bonifacio (Soprintendenza Archeologica di Pompei) vuole recuperare gli scavi iniziati nel '700 e mai portati a termine successivamente.
La Villa San Marco (dell'ampiezza di 1 ettaro, di cui 0,7 scavato) è un'ampia residenza sul mare con terme, giardino con piscina, porticati e triclinio, palestra e ambienti di servizio. Accanto a questa lussuosa residenza sorgono la Villa Arianna e il "Secondo complesso", un edificio con quartiere termale, peristilio, una peschiera. I saggi continueranno fino a novembre e riguarderanno l'intero pianoro di Stabia (41 ettari) secondo un programma di rilancio di un'area archeologica tra le più rilevanti del territorio vesuviano.

Fonte: "Archeo" - Settembre 2006 - Autore: Giovanna Quattrocchi

Pagina di approfondimento storico-archeologico della Campania

21 settembre 2006

Statuetta femminile neolitica vicino Parma

Gli archeologi hanno dissotterrato la più grande figurina femminile neolitica mai trovata in Italia.
La statuetta di pietra risalente a 7.000 anni fa, scoperta durante gli scavi di un sito sepolcrale presso Parma, è alta oltre 20 centimetri e rappresenta una donna con viso ovale, una fessura per gli occhi, naso prominente e capelli lunghi. Le braccia sono piegate all'altezza dei gomiti, sporgenti perpendicolarmente all’esterno del corpo. Anche se simili statuette sono relativamente comuni, è raro trovarne di tanto antiche in Europa, e di solito rappresentano la divinità della madre terra con pancia prominente a simboleggiare la fertilità.
Gli archeologi tendono invece a collegare questa figura femminile alla dea della morte e della rinascita, rappresentata solitamente come snella, con un grande naso aquilino e postura rigida.
Oltre a queste caratteristiche, la statuetta reca un piccolo triangolo simile ad un'incisione fra i seni. La metà inferiore del corpo è molto più grande, senza distinzione fra piedi e gambe.
La schiena è perfettamente verticale, il che ha portato gli esperti a ritenere che originariamente fosse stata intagliata per essere seduta su una specie di trono prodotto in un materiale che si è deteriorato durante i secoli, come il legno.
La figura è stata dissotterrata da una tomba che fa parte del grande sito sepolcrale neolitico di Vicofertile, una città circa 10 km a sud ovest di Parma.
La tomba, appartenuta ad una donna di mezza età, conteneva un certo numero di ciotole di terracotta oltre alla statuetta, che era stata collocata davanti alla testa del defunto, accanto al suo braccio di sinistra alzato.Il sito sepolcrale si data ad un periodo della storia dell’Italia settentrionale conosciuto come “l'era delle ceramiche a bocca quadrata", fra il 5.000 ed il 4.300 a.C. Né i contenitori della tomba né la statuetta sono stati cotti correttamente, a suggerire che gli articoli non fossero di uso quotidiano prima della sepoltura. La statuetta si unisce ad una serie di figure femminili recuperate in tutta Europa, recanti i tratti embrionali del concetto di divinità.
Le prime di tali figure risalgono al IX millennio a.C. e sono state trovate in Medio Oriente. Da allora in avanti, si diffusero attraverso la zona che ora è la Turchia orientale e gradualmente attraverso il Mediterraneo, a Creta, le Cicladi, Malta e la Sardegna, prima di raggiungere il continente Europa.

Fonte: "www.ansa.it"

Pagina di approfondimento storico-archeologico dell'Emilia Romagna

19 settembre 2006

Nepi: importanti ritrovamenti nell'antica necropoli

I recenti scavi effettuati a Nepi dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio hanno portato alla luce i resti di una necropoli urbana dell'antico centro etrusco-falisco, la necropoli di Sante Grotte. Alcune precedenti esplorazioni avevano portato alla luce tre tombe a camera con i relativi corredi funerari; nel 2005 altri scavi hanno portato alla scoperta di 23 sepolture intatte. Non si conosce esattamente l'estensione del sepolcreto; quello in corso di scavo consta di 6 tombe a camera lungo un costone di tufo, e 20 a fossa. La tombe a camera sono orientate EO e precedute da un dromos sigillato da grossi blocchi di tufo. Tutte le tombe erano perfettamente sigillate al momento della scoperta. All'interno erano deposte le spoglie di più defunti in loculi, in sarcofagi o su tavole di legno poggiate su blocchi di tufo. Sul pavimento erano posti i materiali del corredo funerario: i vasi più prestigiosi, prima della deposizione, erano privati simbolicamente dell'ansa o del piede. Nelle mani del defunto, o appoggiato ai suoi piedi, si appoggiava un pezzo di bronzo con funzione di moneta (obolo a Caronte). In una delle tombe a camera, come simbolo del banchetto funebre, si trovavano spiedi in ferro con infilzati ancora piccoli pezzetti di carne. Le tombe a fossa, invece, erano destinate alla sepoltura di bambini, con corredi composti da vasi in miniatura e dai caratteristici vasetti in bucchero o in impasto con beccuccio per succhiare il latte. La tipologia dei corredi e la ricchezza dei materiali rinvenuti attestano l'appartenenza delle famiglie al ceto aristocratico; il sepolcreto, infine, è databile tra il VII e il III sec. a.C.

Fonte: "Archeo" - Autore: Daniela Rizzo

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14 settembre 2006

Colle del Forno (Montelibretti, Roma): scoperta una tomba monumentale

Le recenti indagini archeologiche nella necropoli di Colle del Forno, collegata all'antico centro sabino di Eretum (oggi nel territorio di Montelibretti, provincia di Roma), hanno riportato alla luce una tomba a camera monumentale preceduta da un dromos lungo ben 27 m. Un atrio scoperto immetteva in tre camere. La tomba era stata riaperta già in precedenza sterrando solo la parte terminale del lungo corridoio di ingresso e l'atrio fino al pavimento. La camera di sinistra accoglieva un currus (cocchio) disposto in diagonale; nella camera destra sono stati recuperati alcuni bacili in bronzo (tre grandi, uno piccolo e un podanipter, cioè un bacile per la lavanda dei piedi, piuttosto raro). La camera di fondo accoglieva la deposizione principale, della seconda metà del VI sec. a.C. Sul pavimento, sotto una nicchia, vi erano i resti di un incinerato, racchiusi in un confanetto di legno intorno al quale vi erano delle lamine in oro. Accanto vi era parte di un calice di bucchero (VI sec. a.C.); altri frammenti di un secondo calice provengono dal riempimento del dromos, dell'atrio e della stessa camera di fondo. Lungo la parete di destra si trovava una seconda deposizione: si tratta di un inumato, forse di sesso femminile, come attesta il ritrovamento di una fuseruola tra gli oggetti di corredo. Nei pressi della porta sono stati recuperati diversi frammenti d'impasto di grande spessore, il cui restauro, eseguito dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, ha permesso di attribuirli ad un trono di tipo etrusco.
La presenza del cocchio all'interno della tomba attesta l'elevata condizione sociale del defunto, mentre il trono simboleggia il potere regio. Dalla seconda metà del VI sec. a.C. ad Eretum si assiste ad un grande mutamento sociale e ad una progressiva riduzione dei corredi dovuta soprattutto ad una precisa scelta rituale ed ideologica.

Fonte: "Archeo" - Agosto 2006 - Autori: Paola Santoro, Enrico Benelli

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11 settembre 2006

Udine: Castello, trovato uno scheletro del 1100

Importante risultato per l’equipe di archeologi che dall’inizio del mese sta scavando sul colle del castello di Udine: da poco è stato infatti completato il ritrovamento di uno scheletro ben conservato appartenente a uno dei coloni che nel 1100 abitavano il colle e difendevano il palazzo dai possibili assalti nemici.
“Si tratta di un ritrovamento significativo – commenta il dottor Massimo Lavarone, che coordina il gruppo di esperti della Società friulana di Archeologia che sono al lavoro sul colle -; si tratta della prima sepoltura intera emersa dagli scavi, dopo che nei giorni scorsi erano state individuate alcune ossa riferibili a tre distinte persone. Tutti i resti risalgono a un’epoca che varia dal 1100 al 1200”. Secondo una prima valutazione lo scheletro appartiene a un maschio che, a giudicare dalla dentatura, dovrebbe avere avuto circa 30 anni al momento della morte. La zona in cui sono emersi questi ultimi resti è sempre la stessa, ossia quella del primo scavo avviato proprio davanti all’ingresso principale dei Civici musei. E’ stato proprio proseguendo i lavori che è spuntato lo scheletro: si trovava in quella che gli esperti definiscono “tomba terragna”, ossia scavata nella terra e – in questo caso – delimitata da alcune pietre. La salma era stata avvolta in un sudario e deposta probabilmente senza alcun corredo. In ogni caso non sono state individuate né tracce di vestiti, né di oggetti che potevano essere stati sepolti assieme all’antico udinese. I primi due metri di scavo avevano fatto emergere – come si accennava – le ossa già “intaccate” di tre individui (per esempio parti di femore e di cranio), ma erano state trovate anche alcune macerie e ceramiche appartenenti alle “casette” dei coloni che si trovavano appunto nella parte più alta del colle del castello. Arrivando poi a tre metri di profondità, gli esperti hanno potuto rinvenire un livello intatto. I risultati di questi giorni di lavoro hanno fornito ulteriori elementi agli archeologi, che vanno in parte a confermare alcune ipotesi già sostenute dagli storici, Come quella della realizzazione di numerosi terrazzamenti sul colle del castello, che quindi in passato doveva avere un aspetto ben diverso da quello attuale. Il colle, inoltre, doveva anche essere molto più ripido. A confermarlo è lo stesso dottor Lavarone, che ha trovato conforto a queste teorie proprio esaminando i risultati degli scavi, riferibili alle casette esistenti sul livello superiore del colle che sono state distrutte in seguito ai lavori di costruzione del nuovo castello, durante il sedicesimo secolo.
“Per costruire il palazzo attuale sono state abbattute le casette degli “habitatores” – dice il dottor Lavarone -: una operazione che ha mutato radicalmente l’aspetto del colle nella sua parte superiore. Non per niente son venuti alla luce due metri di detriti, nei quali abbiamo trovato ceramiche di un periodo precedente alla nuova costruzione, risalenti appunto al ‘400 e al ‘500”.
I resti umani appartengono a persone che venivano sepolte vicino alle loro case. In epoca medievale sul colle non c’era dunque un vero e proprio cimitero. Gli udinesi seppellivano i propri cari vicino alle case che con tanta fatica avevano avuto il diritto di erigere sotto il castello, fino in via Manin. La possibilità di avere una piccola dimora sul colle era infatti un privilegio concesso direttamente dal Patriarca che assegnava il cosiddetto “feudo di abitanza”. I coloni (che spesso avevano anche una abitazione principale in città) lavoravano la terra e difendevano il castello. Così facendo si guadagnavano anche un titolo nobiliare attribuito proprio dal Patriarca.

Fonte: "Messaggero Veneto" - Autore: Alberto Lauber

06 settembre 2006

Orvieto: scoperto il santuario degli Etruschi

La notizia, per gli etruscologi, è di straordinario interesse. Dopo sei anni di scavi e di ricerche, il Dipartimento di Scienze Archeologiche e storiche dell'antichità dell'università di Macerata è sicuro di aver individuato ai piedi di Orvieto, nella spianata di Campo della Fiera, il "Fanum Voltumnae", cioè il santuario federale delle dodici città etrusche in cui ogni anno i capi politici e religiosi della Lega etrusca si riunivano in «concilium», come racconta con precisione Tito Livio. Un evento grandioso che coinvolgeva migliaia di persone: sacerdoti, politici, militari, una folla di fedeli, atleti impegnati in gare, mercanti e venditori. La ricerca etruscologica del Fanum Voltumnae risale al XV secolo, allo studioso Annio da Viterbo e alla sua Historia Antiqua. Mille le ipotesi lungo i secoli, mai nessuna certezza. Il direttore dello scavo, la professoressa Simonetta Stopponi, ordinaria di Etruscologia e Archeologia Italica a Macerata, per prudenza scientifica sostiene che la certezza assoluta arriverà solo dopo il ritrovamento di un'iscrizione dedicata al dio Voltumna, principale divinità della terra e patrono del popolo etrusco. Ma, dice, «le caratteristiche di un grande santuario, di quel preciso santuario, ci sono tutte: l'ampiezza dell'area complessiva, la sistemazione urbanistica con i pozzi e le fontane, la presenza di un edificio templare e di una zona sacra molto articolata, la continuità dell'uso religioso del luogo che parte dal VI secolo a.C. e prosegue addirittura fino al XV secolo d.C., i resti di attività cultuali come gli ex voto in bronzo del II secolo a.C. e i frammenti di piccoli vasi attici di eccellente fattura del VI-V secolo a.C. che poi venivano distrutti e quindi seppelliti per tradizione dopo l'uso». L'università di Macerata (che opera in regime di concessione ministeriale) ha seguito le tracce dei primi archeologi che, alla fine dell'800, trovarono alcuni resti murari e molte terrecotte, materiali poi venduti al Pergamon Museum di Berlino e che coincidono con quelli trovati oggi. Gli scavi sono cominciati nel 2000 su un'area di proprietà dell'Opera del Duomo di Orvieto che l'ha concessa per vent'anni al Comune per permettere le ricerche. I risultati, alla fine della campagna 2006, sono più che incoraggianti. Ora la pianta del tempio principale (12 x 6 m) è ben visibile, con fondamenta e un grosso podio in conci di tufo (VI-IV secolo a.C.) e il pavimento romano del II secolo a.C. in «signino» decorato. Poi è ben leggibile un'ampia porzione del muro di cinta dell'area sacra (lunga 18 m), sempre in tufo (datazione ancora da confermare, comunque tra il VI e il IV secolo a.C.) Ha rivisto la luce l'intero impianto di fondamenta della chiesa di San Pietro in Vetere del XII secolo, costruita su una delle aree sacre del complesso etrusco, come testimonia il primo strato in tipico tufo, forse del IV secolo: quindi un primo pavimento cristiano del IV d.C. e un secondo in mosaico bianco e nero del V-VI secolo d.C. e infine la struttura della Chiesa del XII secolo poi affidata ai Frati minori francescani e quindi ai Servi di Maria. Edificio poi abbandonato e caduto in rovina, non si sa bene in quale secolo. Sono stati ritrovati le aperture dei due pozzi necessari alle attività di culto. Soprattutto sono emerse due imponenti strade basolate, entrambe etrusche. Una, larga 5 m e disposta di fronte all'ingresso del tempio principale, collegava sicuramente Orvieto a Bolsena. La seconda, larga 7 m, secondo Simonetta Stopponi rappresenta un'altra prova dell'importanza del complesso religioso e quindi della probabilissima individuazione del Fanum Voltumnae: «Si trattava di un percorso sacro, infatti il tracciato si trova nel retro del tempio e porta dal piano verso l'alto della collina. Ben oltre l'area che stiamo scavando abbiamo già trovato altre due grosse strutture in grandi blocchi di tufo, tipicamente etruschi. Lì dovrebbe trovarsi il luogo sacro conclusivo di quel tracciato. Infatti abbiamo individuato un terzo pozzo». E sui blocchi dell'ultimo ritrovamento sono passati i segni del tempo e dell'agricoltura del posto: sui tufi sono chiari i passaggi degli aratri, chissà mai a quale secolo risalgono. Molti obiettivi sono ancora in sospeso: le ricerche sui nuovi ritrovamenti a Nord, la possibile individuazione a Ovest dello stadio per i giochi sportivi, addirittura la probabile esistenza di alcune tombe sulla collina.
Fonte: "Il Corriere della Sera" (se volete visionare l'articolo completo cliccate qui) - Autore: Paolo Conti

02 settembre 2006

Cavallino (Le): le antiche mura tornano alla luce

Un tratto delle mura messapiche e la porta ovest della città di Cavallino, datata alla metà del VI sec. a.C., sono state portate alla luce. I lavori di recupero sono condotti dagli archeologi e ricercatori della scuola di specializzazione in archeologia dell'Università di Lecce. Gli interventi riguardano la pulitura del fossato e il recupero dei blocchi e la ricostruzione con gli stessi della parte esterna ed interna delle mura. La città antica, che subì una violenta distruzione fra il VI ed il V sec. a.C., era circondata da una poderosa cinta muraria lunga 4 km circa, larga 4 m e alta 6 m, che racchiudeva 70 ettari di territorio. Dalle indagini condotte risulta che il centro antico fu abbandonato in seguito di eventi traumatici: mura abbattute, case bruciate, cisterne colmate. Ciò avvenne, come narra Erodoto, probabilmente durante la "bàrbaros polemòs", cioè nel corso della guerra contro i barbari (in questo caso contro i Messapi, barbari d'occidente) da parte dei Greci tarantini. Sarà dunque recuperato il tracciato rimanente delle mura, la porta nord con gli stipiti in pietra, il fossato, la cerchia muraria interna. Con questo ampliamento, il parco archeologico di Cavallino (denominato "Museo Diffuso" raggiunge i 20 ettari.

Fonte: "Nuovo Quotidiano di Puglia" (Lecce) - 24/08/2006 - Autore: Nicola De Paulis

Per informazioni: http://www.comune.cavallino.le.it/museo.asp