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19 luglio 2007

Restaurati l'Apollo e l'Eracle di Veio


Presentato il 18 luglio 2007, dal ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli, il restauro della statua di Eracle di Veio.
Dopo un lungo e complesso restauro durato quasi quattro anni e costato 110mila euro, messi a disposizione dalla Fondazione Italiana Tabaccai, Eracle, torna a farsi ammirare nella Sala delle Arti e delle Scienze al piano nobile di Villa Giulia a Roma. Nella Sala delle Arti e delle Scienze al piano nobile di Villa Giulia di fronte ad Apollo che avanza possente verso sinistra, impugnando con la mano destra l’arco, oggi perduto, è stato posizionato Eracle (Ercole, in etrusco Hercle) che, proteso verso il dio brandendo la clava con la destra, è raffigurato nell’atto di trattenere la cerva viva e fremente, rovesciata e legata tra le sue gambe. Una collocazione questa che vede nuovamente affrontate le due sculture in terracotta, splendenti nei riemersi cromatismi originari. Com’è noto le due statue, capolavori dell’arte etrusca della fine del VI secolo a.C., ornavano la trave di colmo del grande tempio tuscanico in località Portonaccio insieme ad altre sculture, tutte collocate ad oltre dodici metri di altezza, come un grande altorilievo che aveva come sfondo il cielo: illustravano miti collegati con il dio di Delfi e il celebre oracolo. Eracle ed Apollo con Hermes, raffiguravano una delle fatiche compiute dall’eroe prima della sua apoteosi tra gli dei dell’Olimpo. E’ la contesa che vede contrapposti l’eroe e il dio per il possesso della cerva dalle corna d’oro, sacra ad Artemide, mito poco diffuso anche in Grecia. Nell’impresa Apollo sarà perdente e la presenza di Hermes, come messaggero divino, sta ad indicare che quanto avviene si deve al volere di Zeus. Nel prevalere di Eracle su Apollo si intendeva esprimere da parte del re-tiranno, cui si doveva la costruzione del tempio, la legittimità del suo potere sulla città. In entrambi i capolavori l’impronta stilistica è la stessa, tesa ad esaltare il movimento e a scandire nettamente i volumi, schiacciando i panneggi in una concezione formale fortemente dinamica pur se stilizzata. L’artista mostra anche di avere piena conoscenza delle deformazioni ottiche necessarie in sculture che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature.

A differenza dell’Apollo, scoperto nel 1916 e giunto a noi quasi integralmente, la statua di Eracle è stata rinvenuta in momenti diversi e presenta molte lacune: la parte inferiore con la cerva fu ritrovata insieme all’Apollo, mentre il torso è stato messo in luce nel 1944, cui seguì, cinque anni dopo, il rinvenimento di un frammento della testa. Giunto a noi in due grosse porzioni, prive di attacco tra loro, fu reintegrato negli anni ‘50 del secolo scorso con il rifacimento delle gambe in forme anatomiche non del tutto corrette e realizzate con materiali igroscopici, dannosi alla buona conservazione della scultura.

L’intervento oggi eseguito è stato piuttosto complesso. Non si è trattato, come per l’Apollo, di un’operazione relativamente semplice, di pulitura delle superfici, la cui policromia si era affievolita nel tempo per il sovrapporsi di strati di polvere mista a cere e protettivi, ma si è provveduto al consolidamento statico della statua, sostituendo il vecchio supporto interno in legno, rivelatosi del tutto inadeguato, e si sono modellate le nuove gambe utilizzando mediante diversi passaggi un materiale inerte, poliestere, estremamente leggero e facilmente rimovibile. Nell’assoluto rispetto dell’integrità delle parti originali in terracotta le reintegrazioni, trattate con un coloritura acrilica di fondo, sono state “puntinate” con lunghissime operazioni mediante successive velature di colori acrilici, raggiungendo un effetto di insieme di particolare suggestione.

La statua dell’Eracle di Veio, capolavoro dell’arte etrusca della fine del VI secolo a.C. viene presentata al termine di un accurato e importante intervento di restauro, che si è reso possibile, come per quello dell’Apollo nel 2004, grazie all’impegno della Federazione Italiana Tabaccai e di Logista Italia.

Le statue
Le statue di Apollo ed Eracle, in terracotta policroma, ornavano la trave di colmo del tempio di Veio in località Portonaccio insieme ad altre sculture, forse dodici, tutte a grandezza naturale o di poco superiore al vero, conservate perlopiù in frammenti. Costruito alla fine del VI secolo a.C., all’epoca dei re–tiranni, il grande tempio tuscanico si ergeva nel santuario dedicato a Minerva, uno dei più venerati d’Etruria, appena fuori della città.
Collocate su alte basi a forma di sella e disposte in sequenza, le statue erano concepite per essere viste lateralmente ad un’altezza di oltre dodici metri come un grande altorilievo che aveva come sfondo il cielo. In gruppi di due o tre illustravano miti collegati con il dio di Delfi e il celebre oracolo. Eracle ed Apollo con Hermes, di cui restano la splendida testa e parte del corpo, raffiguravano una delle fatiche compiute dall’eroe prima della sua apoteosi tra gli dei dell’Olimpo. E’ la contesa che vede contrapposti l’eroe e il dio per il possesso della cerva dalle corna d’oro, sacra ad Artemide, mito poco diffuso anche in Grecia. Nell’impresa Apollo sarà perdente e la presenza di Hermes, come messaggero divino, sta ad indicare che quanto avviene si deve al volere di Zeus. Nel prevalere di Eracle su Apollo si intendeva esprimere da parte della committenza la legittimità del potere tirannico sulla città.
Apollo, vestito di una tunica e di un corto mantello, avanza possente verso sinistra con il braccio destro proteso e piegato (il sinistro scendeva verso il basso, forse impugnando con la mano l’arco); Eracle ringhiante sulla cerva rovesciata e legata tra le gambe, è proteso in avanti verso il dio nell’atto di brandire la clava con la destra mostrando il torace in una torsione violenta. L’eroe indossa solo la pelle del vinto leone nemèo (leontè), che, disposta seguendo l’iconografia nota a Cipro, gli copre il capo avvolgendo le spalle per annodarsi con le zampe anteriori al centro sul petto e si allaccia sul davanti aderendo intorno ai fianchi per ricadere con le zampe posteriori lungo le cosce, con la coda sul retro. Colpisce il torso dal vigoroso modellato, del quale il restauro appena concluso ha messo in evidenza il bell’incarnato rosso violaceo in contrasto con il bruno maculato della leontè, la cui criniera sul dorso, di tono più chiaro come i risvolti lungo i bordi, è resa da ciocche a fiamma stilizzate di particolare raffinatezza.
In entrambi i capolavori l’impronta stilistica è la stessa, tesa ad esaltare il movimento, a scandire nettamente i volumi, schiacciando i panneggi in una concezione formale fortemente dinamica, pur se stilizzata. L’artista mostra anche di avere piena conoscenza delle deformazioni ottiche necessarie in sculture che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature. I caratteri stilistici risentono di quel gusto ionico “internazionale”, già atticizzante, come mostra ad esempio il disegno dei muscoli addominali dell’eroe, che caratterizza la cultura artistica etrusca del periodo tardo-arcaico negli anni finali del VI secolo a.C., ma il risultato raggiunto tocca livelli espressivi altissimi, che non hanno confronti nel panorama figurativo etrusco.
L’autore delle statue acroteriali, come anche della decorazione fittile del tempio, è stato identificato da Giovanni Colonna, cui si devono gli studi più recenti del complesso, nel “Veiente esperto di coroplastica” al quale Tarquinio il Superbo commissionò la quadriga acroteriale del Tempio di Giove Capitolino inaugurato nel 508 a.C.: si tratta certamente del massimo rappresentante della celebre bottega di coroplasti veienti fondata da Vulca, il maestro chiamato a Roma da Tarquinio Prisco verso il 580 a.C. per eseguire il simulacro dello stesso Giove Capitolino.

Stato di conservazione ed interventi di restauro

Fonte: "MiBAC - Ministero per i Beni e le Attività Culturali" - 18/07/2007

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