ARCHEOBLOG

Giornale archeologico e culturale costantemente aggiornato con le ultime notizie e gli ultimi approfondimenti storico-archeologici



30 luglio 2007

Vicenza. La rivoluzione dell'immagine. Arte paleocristiana tra Roma e Bisanzio


dal 8 settembre al 18 novembre 2007

Novanta superbe opere dell'arte paleocristiana riunite alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari per raccontare quella che fu una vera "rivoluzione dell'immagine".

Rappresentano documenti, eccezionali, del passaggio dal mondo antico alla modernità quando le opere d'arte divennero soprattutto simboli per comunicare, davvero a chiunque, un nuovo rivoluzionario credo. L'iconografia già in uso vira di significato, mentre segni di appartenenza sino ad allora nascosti venivano svelati.
Tutto ciò intorno ad una data. L'aprile dell'anno 313 quando Costantino emanò l'Editto che riconobbe al Cristianesimo una legittimità che lo toglierà dalle catacombe e comunque dal puro ambito domestico e privato.
Per l'arte fu l'inizio di un nuovo tumultuoso passaggio dalla classicità alla modernità, appunto.

Questo momento cruciale della Storia, ma anche della storia dell'arte, dell'iconografia e della comunicazione viene raccontato nell'esposizione promossa e curata da Intesa San Paolo nella propria sede museale di Vicenza, le Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, con esempi tra i più importanti della produzione artistica tra quarto e sesto secolo, creati in tutto il territorio dell'Impero ed in particolare tra Roma e Bisanzio. Sono sculture in marno e bronzo, affreschi, mosaici, vetri dorati, avori, argenti, tessuti concessi per questa mostra da una ventina di musei italiani.
L'ampio apparato illustrativo che accompagnerà l'esposizione delle opere condurrà il visitatore non solo a godere della straordinarietà dei tesori esposti ma anche ad entrare dentro quel particolare momento storico che quelle opere fece germinare.

L'esposizione è curata da Fabrizio Bisconti con Giovanni Gentili ed è inserita in un progetto pluriennale denominato Percorsi nel sacro, ideato e curato da Fatima Terzo con lo staff Beni culturali di Intesa Sanpaolo. Percorsi nel Sacro intende collegare le numerose iniziative espositive degli anni recenti all'interno di una generale prospettiva che, traendo ispirazione dalla collezione di antiche icone russe dell'Istituto esposta in modo permanente al piano alto di palazzo Montanari, vogliono far conoscere ad un ampio pubblico, con approccio didattico-educativo, gli esiti migliori dell'arte originata nei secoli, in Oriente e in Occidente, dall'avvento del Cristianesimo.

Quella paleocristiana fu un'arte al servizio della comunicazione del messaggio, attraverso raffigurazioni semplificate o simboliche, spesso abbandonando volutamente la cura e l'equilibrio dell'arte ufficiale ancora legata, ormai stancamente, all'ellenismo e alla sua cultura. La "Buona Novella" annunciata da Cristo deve essere narrata e compresa senza inciampi perché la Salvezza promessa sia donata a ciascuno. Così le storie bibliche dell'Antico Testamento anticipano quelle della vita di Cristo e le figure dei patriarchi e dei profeti si affiancano a quelle della Vergine e dei santi, nuovi amici di Dio e modelli da seguire.

Un nuovo significato è dato alle forme antiche: giardini e pascoli, immagini suggestive del paradiso pre-cristiano, sono adesso emblema dell'Eden riconquistato; il pastore diviene Cristo "Buon Pastore", l'orante dalle braccia tese è ora l'anima beata; il Sole dai molti nomi è Cristo, luce definitiva sorta sul mondo. Simboli criptici si sciolgono, come il pesce che significa "Gesù Cristo figlio di Dio", così come a Lui si riferiscono il faro, il porto o l'ancora. Nuovi ne nascono e si diffondono fino ai nostri giorni, a cominciare dal cristogramma, che unisce in sé le prime due lettere del nome greco di Cristo, Chi e Rho.
È rivoluzione, e non involuzione, anche nello stile: abbandonato il naturalismo proprio dell'arte greco-romana, le figure si dispongono l'una accanto all'altra nella rappresentazione delle vicende bibliche, o si stagliano solenni nello spazio, come quelle di Cristo, della Vergine e dei santi o dei primi imperatori cristiani e della corte, rappresentanti in terra del consesso divino. Fino a suggerire, nelle linee e nei segni come nei colori, l'avvento ormai prossimo dell'icona bizantina, figlia ed erede della nuova concezione artistica.

Il percorso espositivo ha inizio con una scelta selezione di opere che illustrano le varie modalità con cui il paganesimo tardo antico esprime il proprio sentimento religioso, all'interno dei vari popoli e delle variegate culture del vasto impero romano: sono raffigurazioni mitologiche che interessano la creazione del primo uomo, Prometeo, oppure Ercole, Orfeo, Dioniso e Mitra/Sole – come nello splendida testa in marmi colorati proveniente dal mitreo di S. Prisca sull'Esquilino, ora al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo - , scene paradisiache descritte da un paesaggio – come nella parete della Casa del bracciale d'oro di Pompei o nell'affresco dei Campi Elisi, al Museo Nazionale Romano – o da scene di vita pastorale – ne è esempio il bel sarcofago dalla catacomba di Priscilla -; fino all'immagine del pastore con la pecora caricata sulle spalle, prefigurazione di Cristo Buon Pastore.

Un passaggio ulteriore considera i nuovi temi della fede cristiana, attraverso la narrazione delle storie bibliche del Nuovo e dell'Antico Testamento, che pittori e scultori cristiani raccontano in forme per lo più semplici, atte ad essere comprese da tutti. Sono messaggi fissati nella pietra come in nobili materiali – è il caso della splendida pisside d'avorio con scene della vita di Cristo del Museo Archeologico di Bologna e del mosaico con le storie di Giona e dei rarissimi tessuti orientali con l'Annunciazione e la Natività, dei Musei Vaticani - . da cui prendono le mosse ulteriori immagini: quelle simboliche e celebrative della maestà divina come di quella imperiale. Su vetri dorati come su preziosissimi avori – come il celebre dittico di Murano, del Museo Nazionale di Ravenna, o quello di Stilicone del Tesoro del Duomo di Monza, insieme a quello detto del Patrizio della cattedrale di Novara – si fissano le nuove immagini della Maestà di Dio e della maestà imperiale, rimando a celebri, fastose decorazioni delle prime basiliche cristiane come delle residenze della corte, spesso cancellate dal tempo.

Accanto alla corte terrena, modelli e campioni della nuova fede sono i santi, gli apostoli e i primi martiri anzitutto, spesso ritratti oranti nella beatitudine del paradiso, secondo uno stile sempre più prossimo al linguaggio dell'icona bizantina. Ed è proprio al nuovo linguaggio figurativo che è dedicato l'ultimo momento della mostra, che considera attraverso un'accurata scelta di opere d'arte – che includono capolavori quali la testa a mosaico di S. Pietro, oggi nelle Grotte Vaticane e il ritratto di imperatrice su tavola d'avorio del Museo del Bargello di Firenze - le novità stilistiche dell'arte, fino a sfiorare d'anticipo, negli affreschi con santi dalle catacombe napoletane, l'icona.
Non è un caso, dunque, che la mostra proponga in chiusura una selezionatissima scelta di icone, dalla Collezione Intesa Sanpaolo, chiaramente relate, nei segni, nei simboli, nello stile, all'arte paleocristiana, sua primitiva radice. E che una sorta di fil rouge, dai chiari intenti didattici, ci accompagni all'interno di Palazzo Leoni Montanari, a riassumere e a riproporre situazioni in divenire, come lo è quest'arte in questi secoli, attraverso l'uso di immagini e segni il cui significato si svela e si arricchisce strada facendo.

Novanta tesori d'arte, dunque, alla riscoperta di un momento decisivo per il nostro tempo: il passaggio dal mondo antico alla modernità.

Info:
La rivoluzione dell'immagine. Arte paleocristiana tra Roma e Bisanzio
Vicenza - Gallerie di Palazzo Leoni Montanari - Contra' Santa Corona, 25 - Vicenza, dall'8 settembre al 18 novembre 2007.
Orari: da martedì a domenica, dalle 10 alle 18
Catalogo: Silvana Editoriale, a cura di Fabrizio Bisconti con Giovanni Gentili
tel. 800 578875

Fonte: "Archeomagazine.com" - 22/07/2007

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27 luglio 2007

Potenza. "Trame Mediterranee"

fino al 2 settembre 2007

Una Galleria Civica ed un Museo archeologico in pieno centro storico a Potenza, in Largo Pignatari. Lo spazio espositivo, destinato a mostre e rilevanti eventi culturali si trova nel Palazzo Loffredo, una delle rare testimonianze di edilizia nobile del XVII secolo nel centro antico della città.

Il MUSEO archeologico nazionale “Dinu Adamesteanu”: ubicato ai piani superiori di Palazzo Loffredo, interamente recuperato dalla Soprintendenza Regionale della Basilicata con un investimento di circa otto milioni di euro, ospita anche una grande biblioteca, uffici e locali polifunzionali.
Il Museo, inaugurato nel Maggio 2005, è intitolato all’archeologo rumeno che “scoprì” la Basilicata antica, dando il via ad una fitta e proficua campagna di scavi che hanno riportato alla luce, dalla metà degli anni Sessanta ad oggi, la plurimillenaria storia della Basilicata. I reperti, ricchi corredi funerari, vasi, armature, ricostruzioni di santuari e mura megalitiche raccontano nelle sale del Museo le varie civiltà, indigene o colonizzatrici, che hanno scritto la storia lucana e quella del suo territorio.

LE TRAME MEDITERRANEE DALLA SICILIA ALLA BASILICATA
La mostra “Trame Mediterranee” nasce a Potenza grazie ad una proficua collaborazione con l’omonimo museo di Gibellina (Trapani), nel segno dello spirito solare di “mediterraneità” che contraddistingue le civiltà sviluppatesi all’ombra del Mare Nostrum e che proprio questa mostra vuol rinsaldare, in una regione, la Basilicata, già nel passato crocevia di popoli e di preziose contaminazioni.
La Fondazione Orestiadi, tra le cui attività rientra anche il Museo “Trame Mediterranee” di Gibellina, l’ANCI Basilicata, il Progetto comunitario Interreg M.I.D.A, (di cui Anci Basilicata è capofila), la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, il Comune di Potenza, hanno unificato i loro “sguardi” sul Mediterraneo e ricostituito il filo rosso che accomuna la sua memoria millenaria.


LE SEZIONI DELLA MOSTRA
I simboli…le forme…nel Museo Archeologico.

Il percorso di questa sezione di Trame Mediterranee inizia attraverso un viaggio nella Basilicata antica, con i suoi simboli che, a partire dal V millennio a.C., raccontano storie di migrazioni e di intrecci culturali fra i popoli del Mediterraneo, riproponendo sulle ceramiche motivi decorativi geometrici, figure stilizzate umane e animali, che richiamano concetti magico-religiosi connessi con un’idea di rinascita della natura e di rigenerazione dell’anima nell’aldilà. I reperti archeologici della Basilicata confrontati con quelli, molto più recenti, provenienti dal Nord Africa, testimoniano come l’artigianato ceramico del Mediterraneo abbia conservato per millenni rigide concezioni formali, talora con i medesimi significati simbolici che riaffiorano ancora nelle attuali produzioni, a dimostrazione di un’unica, antica e grande comunità culturale mediterranea.
Vestiti e gioielli provenienti da tutto il bacino del Mare Nostrum completano questa sezione della mostra dedicata ai simboli e alle forme. Si tratta, in primo luogo di vestiti, provenienti da paesi di cultura araba e databili tra il XVIII e il XX secolo, nella loro molteplicità di forme, decorazioni e tecniche esecutive. Il capo d’abbigliamento che in assoluto assume il ruolo di comune denominatore tra questi paesi è il caftano, originario della Persia. Indossato indifferentemente da uomini e donne, consiste in una specie di soprabito che scende fino ai piedi come una lunga camicia senza tagli.
Tra i vestiti tunisini, l’attenzione si rivolge verso gli abiti nuziali femminili del XIX e XX secolo, composti da più elementi: ampi pantaloni; una camicia con larghe maniche; la jebba, che corrisponde ad una sorta di gilet; un ricco copricapo o più spesso un diadema. Il tutto abitualmente ricoperto da serrati ricami in oro e argento filati. Anche i gioielli in esposizione provengono da tutto il bacino del Mediterraneo. Le tecniche di lavorazione sono comuni a tutti i popoli di matrice islamica o che hanno avuto stretti contatti con la cultura araba, Sicilia compresa: la perlinatura dell’argento, la filigrana, l’intaglio e il cesello, l’uso, in alcuni casi preponderante, di gemme semipreziose come il corallo e l’ambra. Altra specificità è l’uso degli smalti, che riprendono la tradizione bizantina e successivamente ottomana.

I segni…i colori……nella Galleria Civica
Il percorso espositivo contemporaneo si presenta volutamente esile, non marcatamente cronologico, muovendosi attraverso un linguaggio basato sui segni, sui materiali, sull’iconografia, sull’identità.
Nelle opere che compongono questa sezione, e che provengono dalle collezioni del Museo di Gibellina, il visitatore coglie vicinanze o distanze che regolano i rapporti dell’arte come quelli tra individui e tra culture: i calligrammi dell’artista tunisino Mahdaouj e quelli di Carla Accardi; l’asportazione della parola di Emilio Isgrò, l’importazione del linguaggio dell’algerino Akim Abbaci, o ancora il mimetismo della parola di Alighiero Boetti e l’espansione della stessa di Cattani.
I lavori di Mario Schifano, di Carla Accardi, di Pietro Consagra, di Emilio Isgrò, di Arnaldo Pomodoro testimoniano il valore di artisti che nel loro contatto con Gibellina hanno lasciato testimonianze umane e creative indelebili.
Le opere in mostra a Potenza sono ideale rappresentazione dell’opera che tutte le racchiude: il grande Cretto di Alberto Burri, realizzato sulle macerie di Gibellina distrutta dal terremoto del 1968.
Arte contemporanea, nella Galleria Civica di Potenza, e arti applicate, nel Museo Archeologico, si integrano reciprocamente con comparazioni immediate ed eclatanti: le opere dell’artigianato artistico del Mediterraneo si intrecciano con opere della creatività contemporanea.
A tal fine nella sezione potentina di Trame Mediterranee, dedicata all’arte contemporanea, sono collocate delle “presenze simboliche”, atte a provocare una riflessione sulle categorie del gusto “occidentale”. Si tratta di manufatti legati alle arti decorative delle culture del Mediterraneo che riescono a coesistere sotto lo stesso tetto con le opere di Consagra, Accardi, Schifano e di tutti gli altri artisti.
Le opere “contemporanee” esposte in Galleria Civica rimandano agli oggetti collocati negli spazi del Museo Archeologico Nazionale per contribuire a tessere l’ordito di un concetto ampio di mediterraneità e contemporaneità comparate.
Gli oggetti “non d’autore” parlano una loro lingua che non deve essere necessariamente solo “la nostra”: ci espongono un altro concetto di autore e di tempo e ci inducono a classificare l’artigianato di tanti paesi del Mediterraneo come la loro più rilevante e genuina forma di una ricerca artistica perpetua.
Scrive Achille Bonito Oliva: “Il Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina rappresenta un’interpretazione corretta ed aperta della storia mediterranea che scorre dalla Spagna, Francia attraverso l’Italia, attraverso i paesi arabi. Questo Museo presenta insieme tracce della cultura alta ed altre di quella materiale, tra fantasia individuale e vivere quotidiano collettivo...lo spazio frontale alle Case di Stefano diventa un contenitore di segni di un’antropologia culturale fuori da ogni logica egemonica e di supremazia dell’Occidente sull’Oriente o del Nord sul Sud”.
Oggi lo spazio siciliano di Trame mediterranee diventa anche lo spazio della cultura antica e contemporanea di Potenza, della Basilicata, e si realizza in pieno il progetto di costruire una rete fra popoli e culture, una grande tessitura, sospesa fra il visibile e l’invisibile, di trame che parlano del Mediterraneo, fermandone i colori, suggellando i simboli e le forme e ricostruendo la storia.

IL PROGETTO M.I.D.A.
Il Progetto Comunitario M.I.D.A. (Mediterranean Initiatives – Development in Agricolture), nasce nell’ambito dei Progetti che accomunano i Paesi che si affacciano sulla sponda orientale del Mediterraneo (Archimed), e mira al rafforzamento del ruolo dei centri urbani e delle aree rurali, sviluppando contestualmente la cooperazione tra questi due soggetti.
Il Progetto M.I.D.A. vuole introdurre una riflessione approfondita su questo modello di sviluppo tipico delle aree mediterranee, mettendo a punto strategie e strumenti comuni affinché le culture, le strutture paesaggistiche e urbane siano non solo salvaguardate, ma anche valorizzabili come modelli di produzione di qualità e di sviluppo sostenibile, modelli di ecosistemi e paesaggio locali e modelli di cultura e ricchezza identitaria. Il Progetto, pertanto, si propone di esplorare le esperienze legate alle "tipicità" dei vari territori; studiare opportunità e condizioni di fattibilità per la creazione di attività e servizi comuni alla rete di partenariato; mettere a punto gli strumenti che consentano di tutelare e valorizzare i luoghi e le micro-filiere considerate una componente distintiva del territorio stesso.
L’ANCI Basilicata, capofila di un partenariato di 21 soggetti, italiani, greci, ciprioti, libanesi e turchi, ha voluto coniugare al senso del progetto M.I.D.A. la promozione delle arti, i loro percorsi attraverso il tempo e lo spazio, come espressioni della ricchezza di un territorio e del grado di civiltà raggiunto dai popoli, e come base per un linguaggio declinato sulle culture. Ognuna di esse solo all’apparenza diversa, in realtà semplicemente identitaria, ma aperta alla permeabilità che sin dai tempi più antichi ha permesso al Mediterraneo di essere il luogo privilegiato d’incontro fra le culture d’Oriente e Occidente.
“Dal Mediterraneo giunge l'arte dei suoi popoli. Un'arte che viene da tempi in cui gli uomini tornivano vasi, erigevano templi e scrivevano leggi. Esse erano sacre, al punto che in loro nome anche la morte era sublime. Facciamo allora che anche oggi l'arte, mentre consegna il bello ai nostri occhi, restituisca il senso del vivere civile ai nostri cuori”.
“Raccontare storie millenarie dedicate al Mediterraneo rappresenta un’avventura intellettuale di grande fascino, soprattutto se si compie con compagni di viaggio di grande prestigio intellettuale quali sono la Fondazione Orestiadi e il Museo delle Trame Mediterranee, insieme a tutti i partners del Progetto Mida. Una tela invisibile, fatta di generazioni umane che si sono confrontate, intrecciate in un vortice di culture, viene parzialmente svelata a ricomporre un caleidoscopio di immaginari dai colori forti del mare e delle terre che lo sovrastano. Si risentono, nella mostra, gli echi delle voci che si rincorrono nei porti, sulle navi, con il mare calmo e con quello in tempesta. Rimangono tangibili i simboli di queste culture millenarie, carichi di magie e di speranze di eternità che impregnano i cieli caldi, rassicuranti, del Mediterraneo. La mostra, in sintesi, rappresenta l’occasione per conoscere l’altro, il diverso da noi, anche se questa diversità è solo apparente. Un filo rosso, molto saldo di una memoria millenaria trasmette questa volta a partire dalla Basilicata messaggi di pace che avvolgono il Mediterraneo: Basilicata, centro (non solo geografico) del Mare Nostrum”.

Le Trame mediterranee di Gibellina e il suo Museo
Inserita nel più ampio contesto del settore arti visive della Fondazione, da molti anni affidato alla direzione di Achille Bonito Oliva, le opere in mostra provengono da una collezione che si propone, di fatto, come il più concreto spazio museale, in Sicilia, nel settore della creatività contemporanea, completato dalla sezione delle “arti applicate” presente nel contesto del museo.
Già dal 1996, l’insieme delle opere presenti nel complesso delle Case Di Stefano, sotto il nome di Museo-Officina ”Trame Mediterranee”, diretto da Enzo Fiammetta, esplicitava i dati caratteriali che la Fondazione Orestiadi intendeva tracciare per comporre la propria fisionomia: ricostituire la centralità del meridione d’Italia nel contesto dell’Europa e dell’Africa mediterranea, dove per “centralità” si intenda il recupero di uno “sguardo mediterraneo” nel vivere e vedere la cultura del nostro tempo. È così che è nato, ancora dall’impulso di Ludovico Corrao, l’insieme delle attività che nel teatro, nella musica e nelle arti visive hanno coinvolto maestri di tutte le arti e di tutto il mondo: personalità che hanno contribuito a dar vita a qualcosa di più di un “progetto organico”, che per la sua storia, per il contesto geopolitico, antropologico, per l’elemento utopistico che ne è alla radice e persino per la sua complessità poetica, presenta naturalmente, senza forzare i propri tratti, una fisionomia leggendaria.
Le opere presenti in mostra sono state selezionate tra quelle donate alla Fondazione nel corso degli anni, frutto del rapporto che gli artisti hanno stabilito con Gibellina e con il suo progetto di ricostruzione.

Il percorso espositivo segue la traccia di una intenzionale e proficua promiscuità creativa di generazioni e sensibilità, all’interno di un percorso volutamente esile, (cioè non marcatamente cronologico nel senso “accademico” del termine) ove si possono, anche, cogliere gli “ultrasuoni” di un dialogo tra le diverse “espressività”, alcune delle quali si pongono in una dimensione autonoma in grado di proporre e condurre un dialogo basato sui segni, sui materiali, sull’iconografia, sull’identità.
Vicinanze o distanze che regolano i rapporti dell’arte come quelli tra individui e tra culture: i calligrammi dell’artista tunisino Mahdaouj e quelli di Carla Accardi; l’asportazione della parola di Emilio Isgrò, l’importazione della parola dell’algerino Akim Abbaci, il mimetismo della parola di Alighiero Boetti e l’espansione della stessa di Cattani.
Vanno sottolineate, tra tutte, presenze particolarmente significative per l’identità stessa del Museo e di cui sono in mostra alcune tracce, come quelle di Mario Schifano, di Carla Accardi, di Pietro Consagra, di Emilio Isgrò, di Arnaldo Pomodoro: artisti che nel loro contatto con Gibellina hanno lasciato testimonianze umane e creative indelebili. Le opere qui in mostra sono testimoni dell’opera che tutte le racchiude: il grande Cretto di Alberto Burri, realizzato sulle macerie di Gibellina distrutta dal terremoto del 1968 e di tutti gli artisti di cui non è stato possibile mostrare una loro opera, ma dei quali se ne sente “ l’aura ”, perché presenti nel progetto di ricostruzione, nei tanti modi che l’espressività contemporanea consente. Tra i tanti: Joseph Beuys.

Va evidenziato un elemento su tutti come motivo conduttore della mostra “Trame Mediterranee” che è da sempre nelle intenzioni della Fondazione Orestiadi e che ha trovato terreno fertile nei nostri attuali interlocutori - Comune e Museo Archeologico Nazionale della Basilicata “Dinu Adamesteaunu” di Potenza - muoversi per far virare sempre più marcatamente il nostro progetto verso una idea complessiva ed originaria di “mediterraneità”. Considerare arti visive e decorative come complementari (i tessuti, i monili, i vasi, gli ornamenti provenienti dal Marocco, Libia, Egitto, Albania, Tunisia, Senegal, Turchia, Siria …).
Arte contemporanea e arti applicate che a Gibellina sono collocati in due edifici che si fronteggiano a Potenza sono offerti in due spazi limitrofi, come ambiti che si integrano reciprocamente con comparazioni immediate ed eclatanti. Le opere dell’artigianato artistico del Mediterraneo con opere della creatività contemporanea.
A tal fine nella Galleria d’arte Civica di Potenza (che ospita la selezione di arte contemporanea) sono collocate delle “presenze simboliche” atte a provocare una riflessione sulle categorie del gusto “occidentale”: si tratta di manufatti legati alle arti decorative delle culture del Mediterraneo che riescono a coesistere sotto lo stesso tetto con le opere di Consagra, Accardi, Schifano e di tutti gli altri artisti, soltanto se il visitatore è in grado di rompere l’inerzia accademica e “filologica” dei suoi convincimenti che assegna un posto stabilito e irremovibile a concetti quali: manualità artigianale e manualità creativa - tempo storico e classificazione del gusto e degli stili - opera d’Autore e autore d’opera.
Le opere “contemporanee” rimandano agli oggetti collocati negli spazi del Museo Archeologico Nazionale per contribuire a tessere l’ordito di un concetto ampio di mediterraneità e contemporaneità comparate, che non abbia il vizio tutto occidentale e globalizzante di apprezzare le altre culture come nostro estremo gesto d’amore.
Gli oggetti “non d’autore” parlano una loro lingua che non deve essere necessariamente “la nostra” (e che pure lo è più di quanto si pensi), ci espongono un altro concetto di autore e di tempo e ci inducono a classificare l’artigianato di tanti paesi del Mediterraneo come la loro più rilevante e genuina forma di una ricerca artistica perpetua e non è detto che non trovi nella sensibilità contemporanea uno dei suoi più incantati interlocutori.

Info:
fino al 2 settembre la Galleria Civica e il Museo Archeologico Nazionale della Basilicata “Dinu Adamesteanu”, entrambi ubicati nelle sale di Palazzo Loffredo, nel cuore del centro storico di Potenza, ospitano per la prima volta insieme una straordinaria esposizione dedicata ai simboli antichi e moderni del Mediterraneo.
Orari di apertura: martedì-domenica 9.00-20.00, lunedì 14.00-20.00, visite guidate gratuite su prenotazione.
Referente: Dott.ssa Lucia Moliterni - Funzionario Soprintendenza Archeologica della Basilicata 0971.21719 - cell. 349.3711791.

Fonte: "ArcheoMedia" - 25/07/2007

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22 luglio 2007

"Alla scoperta di Tridentum. La città sotterranea". Itinerario archeologico nel centro di Trento dal S.A.S.S. alla Basilica Paleocristiana

06 luglio 2007 - 28 settembre 2007

Riprende nel periodo estivo "Alla scoperta di Tridentum. La città sotterranea", l'itinerario archeologico nel centro di Trento, dal S.A.S.S. alla Basilica Paleocristiana. L'iniziativa, che si svolge ogni venerdì dal 6 luglio al 28 settembre, è a cura dei Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento e del Museo Diocesano Tridentino. Si tratta di un'occasione di particolare interesse per approfondire la conoscenza dell'antica Tridentum romana, lo splendidum municipium, come fu definito dall'imperatore Claudio nel 46 d.C.
L'itinerario prevede il ritrovo alle ore 16 presso il S.A.S.S., lo Spazio Sotterraneo Archeologico del Sas, in piazza Cesare Battisti, luogo simbolo di Tridentum, che offre al visitatore oltre 1.700 mq. di città romana esito degli scavi archeologici effettuati in occasione del restauro e dell'ampliamento del Teatro Sociale. L'ampia area è costituita da spazi ed edifici pubblici e privati: un lungo tratto del muro di cinta orientale, un esteso segmento di strada pavimentata, settori di case con resti di mosaici, cortili e botteghe artigiane.
Dopo la visita al S.A.S.S., l'itinerario prosegue per Porta Veronensis, alla quale si accede dall'atrio del Museo Diocesano Tridentino. Monumentale ingresso alla città per chi proveniva da sud, la porta, così come è giunta fino a noi, è opera della metà circa del primo secolo dopo Cristo. Gemina, ossia a due fornici, per il passaggio di pedoni e carri, fiancheggiata da torri poligonali in laterizi, era costruita in calcare bianco, alta due, forse tre, piani. Da essa si dipartiva il cardine massimo, la principale strada interna a Tridentum diretta a nord.
L'itinerario si conclude con la visita alla Basilica Paleocristiana di S. Vigilio. Eretta all'esterno della cinta urbica, la Basilica deve la sua prima origine alla sepoltura, voluta dal vescovo Vigilio, dei tre missionari Sisinio, Martirio e Alessandro uccisi in Val di Non il 29 maggio del 397. Alla sua morte lo stesso Vigilio – patrono della diocesi di Trento – fu deposto a fianco dei tre santi. Da principio l'edificio rivestì il ruolo di basilica cimiteriale, ovvero di santuario con funzione eminentemente commemorativa. Tra il IX e il X secolo assunse il ruolo di chiesa cattedrale, in concomitanza con lo spostamento nelle immediate adiacenze del Palatium Episcopatus, residenza dei vescovi che, dal 1027, ottennero anche il potere temporale.

Informazioni:

La quota di partecipazione all'iniziativa è di 4 euro incluso l'ingresso ai siti archeologici, previa prenotazione entro le ore 12 del giorno della visita al numero telefonico 0461 230171.

Provincia Autonoma di Trento
Soprintendenza per i Beni Archeologici
Via Aosta 1, Trento
Tel. 0461 492161 - 0461 492182
Fax 0461 492160
E-mail: sopr.archeologica@provincia.tn.it
www.trentinocultura.net

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19 luglio 2007

Restaurati l'Apollo e l'Eracle di Veio


Presentato il 18 luglio 2007, dal ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli, il restauro della statua di Eracle di Veio.
Dopo un lungo e complesso restauro durato quasi quattro anni e costato 110mila euro, messi a disposizione dalla Fondazione Italiana Tabaccai, Eracle, torna a farsi ammirare nella Sala delle Arti e delle Scienze al piano nobile di Villa Giulia a Roma. Nella Sala delle Arti e delle Scienze al piano nobile di Villa Giulia di fronte ad Apollo che avanza possente verso sinistra, impugnando con la mano destra l’arco, oggi perduto, è stato posizionato Eracle (Ercole, in etrusco Hercle) che, proteso verso il dio brandendo la clava con la destra, è raffigurato nell’atto di trattenere la cerva viva e fremente, rovesciata e legata tra le sue gambe. Una collocazione questa che vede nuovamente affrontate le due sculture in terracotta, splendenti nei riemersi cromatismi originari. Com’è noto le due statue, capolavori dell’arte etrusca della fine del VI secolo a.C., ornavano la trave di colmo del grande tempio tuscanico in località Portonaccio insieme ad altre sculture, tutte collocate ad oltre dodici metri di altezza, come un grande altorilievo che aveva come sfondo il cielo: illustravano miti collegati con il dio di Delfi e il celebre oracolo. Eracle ed Apollo con Hermes, raffiguravano una delle fatiche compiute dall’eroe prima della sua apoteosi tra gli dei dell’Olimpo. E’ la contesa che vede contrapposti l’eroe e il dio per il possesso della cerva dalle corna d’oro, sacra ad Artemide, mito poco diffuso anche in Grecia. Nell’impresa Apollo sarà perdente e la presenza di Hermes, come messaggero divino, sta ad indicare che quanto avviene si deve al volere di Zeus. Nel prevalere di Eracle su Apollo si intendeva esprimere da parte del re-tiranno, cui si doveva la costruzione del tempio, la legittimità del suo potere sulla città. In entrambi i capolavori l’impronta stilistica è la stessa, tesa ad esaltare il movimento e a scandire nettamente i volumi, schiacciando i panneggi in una concezione formale fortemente dinamica pur se stilizzata. L’artista mostra anche di avere piena conoscenza delle deformazioni ottiche necessarie in sculture che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature.

A differenza dell’Apollo, scoperto nel 1916 e giunto a noi quasi integralmente, la statua di Eracle è stata rinvenuta in momenti diversi e presenta molte lacune: la parte inferiore con la cerva fu ritrovata insieme all’Apollo, mentre il torso è stato messo in luce nel 1944, cui seguì, cinque anni dopo, il rinvenimento di un frammento della testa. Giunto a noi in due grosse porzioni, prive di attacco tra loro, fu reintegrato negli anni ‘50 del secolo scorso con il rifacimento delle gambe in forme anatomiche non del tutto corrette e realizzate con materiali igroscopici, dannosi alla buona conservazione della scultura.

L’intervento oggi eseguito è stato piuttosto complesso. Non si è trattato, come per l’Apollo, di un’operazione relativamente semplice, di pulitura delle superfici, la cui policromia si era affievolita nel tempo per il sovrapporsi di strati di polvere mista a cere e protettivi, ma si è provveduto al consolidamento statico della statua, sostituendo il vecchio supporto interno in legno, rivelatosi del tutto inadeguato, e si sono modellate le nuove gambe utilizzando mediante diversi passaggi un materiale inerte, poliestere, estremamente leggero e facilmente rimovibile. Nell’assoluto rispetto dell’integrità delle parti originali in terracotta le reintegrazioni, trattate con un coloritura acrilica di fondo, sono state “puntinate” con lunghissime operazioni mediante successive velature di colori acrilici, raggiungendo un effetto di insieme di particolare suggestione.

La statua dell’Eracle di Veio, capolavoro dell’arte etrusca della fine del VI secolo a.C. viene presentata al termine di un accurato e importante intervento di restauro, che si è reso possibile, come per quello dell’Apollo nel 2004, grazie all’impegno della Federazione Italiana Tabaccai e di Logista Italia.

Le statue
Le statue di Apollo ed Eracle, in terracotta policroma, ornavano la trave di colmo del tempio di Veio in località Portonaccio insieme ad altre sculture, forse dodici, tutte a grandezza naturale o di poco superiore al vero, conservate perlopiù in frammenti. Costruito alla fine del VI secolo a.C., all’epoca dei re–tiranni, il grande tempio tuscanico si ergeva nel santuario dedicato a Minerva, uno dei più venerati d’Etruria, appena fuori della città.
Collocate su alte basi a forma di sella e disposte in sequenza, le statue erano concepite per essere viste lateralmente ad un’altezza di oltre dodici metri come un grande altorilievo che aveva come sfondo il cielo. In gruppi di due o tre illustravano miti collegati con il dio di Delfi e il celebre oracolo. Eracle ed Apollo con Hermes, di cui restano la splendida testa e parte del corpo, raffiguravano una delle fatiche compiute dall’eroe prima della sua apoteosi tra gli dei dell’Olimpo. E’ la contesa che vede contrapposti l’eroe e il dio per il possesso della cerva dalle corna d’oro, sacra ad Artemide, mito poco diffuso anche in Grecia. Nell’impresa Apollo sarà perdente e la presenza di Hermes, come messaggero divino, sta ad indicare che quanto avviene si deve al volere di Zeus. Nel prevalere di Eracle su Apollo si intendeva esprimere da parte della committenza la legittimità del potere tirannico sulla città.
Apollo, vestito di una tunica e di un corto mantello, avanza possente verso sinistra con il braccio destro proteso e piegato (il sinistro scendeva verso il basso, forse impugnando con la mano l’arco); Eracle ringhiante sulla cerva rovesciata e legata tra le gambe, è proteso in avanti verso il dio nell’atto di brandire la clava con la destra mostrando il torace in una torsione violenta. L’eroe indossa solo la pelle del vinto leone nemèo (leontè), che, disposta seguendo l’iconografia nota a Cipro, gli copre il capo avvolgendo le spalle per annodarsi con le zampe anteriori al centro sul petto e si allaccia sul davanti aderendo intorno ai fianchi per ricadere con le zampe posteriori lungo le cosce, con la coda sul retro. Colpisce il torso dal vigoroso modellato, del quale il restauro appena concluso ha messo in evidenza il bell’incarnato rosso violaceo in contrasto con il bruno maculato della leontè, la cui criniera sul dorso, di tono più chiaro come i risvolti lungo i bordi, è resa da ciocche a fiamma stilizzate di particolare raffinatezza.
In entrambi i capolavori l’impronta stilistica è la stessa, tesa ad esaltare il movimento, a scandire nettamente i volumi, schiacciando i panneggi in una concezione formale fortemente dinamica, pur se stilizzata. L’artista mostra anche di avere piena conoscenza delle deformazioni ottiche necessarie in sculture che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature. I caratteri stilistici risentono di quel gusto ionico “internazionale”, già atticizzante, come mostra ad esempio il disegno dei muscoli addominali dell’eroe, che caratterizza la cultura artistica etrusca del periodo tardo-arcaico negli anni finali del VI secolo a.C., ma il risultato raggiunto tocca livelli espressivi altissimi, che non hanno confronti nel panorama figurativo etrusco.
L’autore delle statue acroteriali, come anche della decorazione fittile del tempio, è stato identificato da Giovanni Colonna, cui si devono gli studi più recenti del complesso, nel “Veiente esperto di coroplastica” al quale Tarquinio il Superbo commissionò la quadriga acroteriale del Tempio di Giove Capitolino inaugurato nel 508 a.C.: si tratta certamente del massimo rappresentante della celebre bottega di coroplasti veienti fondata da Vulca, il maestro chiamato a Roma da Tarquinio Prisco verso il 580 a.C. per eseguire il simulacro dello stesso Giove Capitolino.

Stato di conservazione ed interventi di restauro

Fonte: "MiBAC - Ministero per i Beni e le Attività Culturali" - 18/07/2007

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17 luglio 2007

Inaugurata la Collezione Archeologica "Adolfo Colosso" a Ugento (LE)


La Collezione Colosso, conservata ad Ugento (Le), all'interno del Palazzo Colosso in via Messapica 28, è una delle poche collezioni storiche della regione Puglia, formatasi con materiali rinvenuti ad Ugento e nel suo territorio nel secolo XIX.
La raccolta, iniziata dal Barone Adolfo Colosso, "appassionato cultore di storia patria", viene ricordata dagli scrittori locali come sempre esistente al piano terra dell'omonimo Palazzo, "gelosamente custodita dai figli Luigi e Massimo Colosso".

I reperti, 794 in tutto, si inquadrano complessivamente tra il VI secolo a. C. e l'età altomedievale.
Ad essi si aggiungono esemplari di età moderna quali armature ed armi, proiettili di cannone ecc.
Per il periodo compreso tra il VI secolo e l'età ellenistica la Collezione dispone di importanti testimonianze del repertorio ceramico indigeno: le trozzelle, prodotte nell'intero arco cronologico di diffusione della forma ceramica, le lekanai e i piatti in vernice bruno-rossiccia, caratteristiche forme del VI e V sec. a. C.. Il periodo considerato è anche caratterizzato dall'importazione di ceramica attica, che nella Collezione è rappresentata dalle lekythoi.

Tra i reperti della fase ellenistica si conservano sia alcuni pertinenti alla cosiddetta "ceramica di Gnathia" (un grande skyphos, una pelike e due oinochoai sono gli esemplari di maggior qualità), sia altri della classe ceramica a vernice nera (skyphoi, tazze biansate e monoansate, coppette e brocche). Allo stesso periodo sono da riferirsi alcune lucerne, della classe greco-ellenistica e di quella italica e romana, così come anche realizzazioni coroplastiche (terrecotte femminili, tintinnabula, un elmo pileo in terracotta e un disco con rappresentazione a rilievo di vari oggetti).

Nella Collezione sono presenti anche reperti scultorei che confermano l'inserimento di Ugento tra i siti messapici che hanno restituito elementi pertinenti alla decorazione di naiskoi di tipo tarantino. Fra questi si distinguono una testa scopadea della fine del IV sec. a. C., un frammento ad altorilievo probabilmente raffigurante un guerriero a cavallo, un torso maschile, un frammento in marmo raffigurante un animale e frammenti di una statua colossale riferibile probabilmente ad Ercole.
Si segnala inoltre la presenza numerosa di epigrafi, sia in lingua messapica che in lingua latina.

Oggi grazie alla disponibilità della famiglia Colosso e al perfezionamento di un protocollo d'intesa tra Comune di Ugento, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e Provincia di Lecce l'importante raccolta viene aperta al pubblico.
Il progetto di valorizzazione della collezione all'interno delle scuderie di Palazzo Colosso, costituisce un'iniziativa di grande rilievo nella prospettiva della pubblica fruizione della raccolta, la cui formazione risale ai decenni centrali dell'Ottocento, periodo in cui il collezionismo è stato determinante per la conservazione nella nostra regione di esemplari di altissima qualità, svolgendo inoltre un ruolo importante nella formazione di molti musei pugliesi.

Fonte: "Redazione Archaeogate" - 11/07/2007

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14 luglio 2007

Baggiovara(Mo). Il pozzo delle sorprese

L’anno scorso una necropoli tardo antica con uno scheletro orribilmente mutilato, quest’anno un pozzo zeppo di materiale edile e ceramiche d’età romana tra cui una rarissima lucerna a volute raffigurante il Ratto di Europa.

Gli scavi nell’area a margine di Via Giardini, a Baggiovara, continuano a fornire interessanti novità archeologiche.

Dopo la tomba dell’anno scorso, con il defunto privato di cranio, piedi e braccio destro -fortunatamente post mortem-, gli scavi iniziati il 2 luglio scorso hanno intercettato prima alcune nuove sepolture e poi l’imboccatura di un pozzo d’età romana certamente legato ad una villa poco distante.

Le indagini archeologiche, condotte da Francesco Benassi sotto la direzione scientifica di Donato Labate della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, hanno portato in luce un pozzo del diametro interno di m. 1,20 circa, rivestito in ciottoli fluviali disposti a secco.

Per circostanze ancora da chiarire, in età augustea-tiberiana il pozzo cessò la sua funzione canonica per essere utilizzato come discarica, in cui vennero buttati i materiali edilizi della villa (tegole, laterizi, frammenti di intonaco dipinto, resti pavimentali in mosaico) e una grandissima quantità di ceramica.

I reperti recuperati sono datati tra il periodo tardo-repubblicano e la prima metà del I secolo d.C. e offrono uno straordinario spaccato della vita di questo sito e dell’occupazione romana del territorio di Mutina all’inizio dell’età imperiale.

Oltre ad anfore, brocche e bottiglie monoansate in ceramica comune depurata, servizi da mensa più raffinati in ceramica a vernice nera e terra sigillata finemente decorata, il pozzo ha restituito frammenti di una lucerna a volute su cui è raffigurato il Ratto di Europa. Secondo la mitologia Europa, figlia del re di Tiro, viene rapita da Giove, che aveva assunto le sembianze di un toro bianco, e condotta nell'isola di Creta. Dalla loro unione nascono Minosse, il committente del famoso labirinto, Radamante e Sarpedone: tutti e tre, da morti, diventeranno giudici nel mondo dell'aldilà. La rappresentazione di questo mito, documentata sia nei mosaici che negli affreschi d’età greca e romana, è invece rarissima sulle lucerne. Oltre al Ratto d'Europa, la lucerna ha un'altra rarità: sul retro è chiaramente visibile l'impronta del palmo della mano del ceramista.

Le indagini archeologiche del pozzo, eseguite dalla Ares Soc. Coop. ar.l. di Ravenna, termineranno domani; i resti faunistici e le analisi botaniche aiuteranno a capire le abitudini alimentari degli abitanti della villa e il paesaggio vegetazionale della zona duemila anni fa.

Allo scavo, finanziato dalla società immobiliare GARDEN s.r.l., hanno collaborano gli archeologi Bernardo Moranduzzo, Luca Pellegrini, Rossella Rinaldi e Antenore Manicardi.

Info:
Donato Labate, tel. 339.7930338 - e-mail donato.labate@beniculturali.it
Francesco Benassi e-mail archeo_benassi@yahoo.it

Fonte: "MiBAC - Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Archeol. Emilia Romagna" - 12/07/2007


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10 luglio 2007

Balkani. Antiche civiltà fra Danubio e Adriatico


Museo Nazionale Archeologico di Adria (Parco del Delta del Po).
8 luglio 2007 – 13 gennaio 2008

La mostra presenta eccezionali raccolte archeologiche del Museo Nazionale di Belgrado, per la prima volta al di fuori dei territori della ex Jugoslavia; raccolte che dai tempi della recente guerra degli anni 90 del Novecento sono custodite all’interno di camere blindate e che torneranno ad essere esposte nella capitale serba solo dopo il 2010, quando il Museo di Belgrado sarà di nuovo accessibile, dopo radicali restauri.
Dal Museo serbo sono stati concessi i veri capolavori delle collezioni Greca e Romana, opere sicuramente non prestabili in altra occasione, patrimonio unico della storia della Nazione. La grandiosa esposizione celebra l’apertura, attesa da cinque anni, della ricchissima Sezione Etrusca del museo che la ospita, ovvero il Museo Archeologico Nazionale di Adria. Un Museo che in questi anni, grazie ai fondi del Ministero, de Il gioco del Lotto e della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è stato completamente rinnovato, oltre che ampliato. La nuova Sezione Etrusca, che si unisce al Lapidario recentemente inaugurato, presenta il meglio degli oltre 60 mila reperti di epoca preromana conservati ad Adria: ceramiche, bronzi, ambre per ricordare il ruolo di una città che fu tanto importante da dare il suo nome ad un mare e di un territorio ricchissimo di insediamenti, alcuni dei quali oggi oggetto di scavo. Tra i tesori del Museo di Adria, il maggiore è dato dalla celeberrima “Tomba della Biga”, un unicum a livello mondiale, un enigma che nemmeno gli studi più recenti sono riusciti a risolvere.

Comunicato Stampa della mostra

Fonte: "MiBac - Direzione Generale per i Beni Archeologici"

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08 luglio 2007

Orvieto (Tr). 6° corso di perfezionamento “Etruschi – Musei - Etruscologia. La musealizzazione della civiltà etrusca”

iscrizioni fino al 31 luglio 2007

I termini per le iscrizioni scadono il prossimo 31 luglio

La Scuola di Etruscologia e Archeologia dell’Italia Antica organizza per l’anno accademico 2007-2008 il VI Corso di perfezionamento dedicato al tema: “Etruschi – Musei – Etruscologia. La musealizzazione della civiltà etrusca”.

Le lezioni e i seminari si terranno in Orvieto, presso la sede della Fondazione Centro Studi “Città di Orvieto”, in Piazza del Duomo n. 20, dal 27 agosto al 7 settembre 2007 e dal 10 al 14 marzo 2008.
Il collegio dei docenti si conferma particolarmente prestigioso, con la partecipazione, tra gli altri, di Maria Bonghi Jovino (Università degli Studi di Milano), Giovannangelo Camporeale (Università degli Studi di Firenze), Giovanni Colonna (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”), Adriano Maggiani (Università degli Studi di Venezia), Francesco Roncalli (Università degli Studi “Federico II” di Napoli), Giuseppe Sassatelli (Università degli Studi di Bologna), Simonetta Stopponi (Università degli Studi di Macerata), Mario Torelli (Università degli Studi di Perugia).

La formula, collaudata negli anni precedenti, prevede due settimane di lezioni teoriche, per un totale di 70 ore, ed una di seminari durante la quale i corsisti presenteranno i risultati delle ricerche sugli argomenti loro assegnati dai docenti.

La novità è invece costituita dal tema trattato. Il sesto corso di perfezionamento si prefigge, infatti, di fornire un approfondimento critico dei temi inerenti alla genesi, alla storia, all’allestimento, alla gestione ed alla “vita” dei principali Musei etruscologici nazionali e locali.

Il bando di concorso per l’ammissione al corso, riservato ad un massimo di trenta allievi laureati in discipline archeologiche, in beni culturali o in storia antica, è in allegato.

Info:

Fondazione per il Centro Studi “Città di Orvieto”, Piazza Duomo 20, Orvieto, tel. 0763-306525, E-mail: info@uniorvieto.it Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, Piazza del Duomo 29, Orvieto, tel. 0763-341511, E-mail: fainaorv@tin.it
Si segnala infine che il termine ultimo per la presentazione delle domande di ammissione è fissato al 31 luglio 2007

Scarica Allegato

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06 luglio 2007

Le Notti dell'Archeologia: oltre 300 iniziative in Toscana

30 giugno – 29 luglio 2007

Al via la settima edizione de Le Notti dell’Archeologia, per la prima volta un intero mese, dal 30 giugno al 29 luglio 2007, con oltre 300 iniziative in tutta la Toscana: aperture straordinarie notturne di musei e parchi, trekking archeologici, visite guidate, esposizioni, cene tematiche, conferenze, attività didattiche e una rassegna internazionale di cinema archeologico. Una grande “festa dell’archeologia” realizzata della Regione Toscana con l’Associazione Musei Archeologici della Toscana (AMAT) e la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici. La manifestazione, ad oggi l’unica nel suo genere in Italia ed in Europa, è andata crescendo negli anni fino a coinvolgere più di cento enti e registrare nella passata edizione la presenza di oltre 35.000 persone, a dimostrazione del forte interesse del pubblico per l’archeologia.
Tema dell’edizione 2007, Le antiche vie dell’Etruria, per scoprire le vie di comunicazione terrestri e marittime dell’antichità. L’Etruria, già nella protostoria, era dotata di una rete viaria definita dagli spostamenti stagionali della transumanza. Con la nascita delle città etrusche, la rete stradale si estese, senza mai diventare una viabilità di lunga percorrenza, come accadrà poi con i Romani. In generale le vie etrusche non presenteranno mai aspetti “monumentali”, a parte le tagliate, tipiche delle zone tufacee. A partire dalla metà del III secolo a.C. i Romani costruiranno un sistema viario, che in un primo tempo fu funzionale alle operazioni belliche e solo successivamente veicolo fondamentale della romanizzazione delle campagne.
Nel programma delle Notti dell’Archeologia grande successo di pubblico riscuotono i trekking archeologici, quest’anno dedicati in particolare alle vie dell’antichità. Cortona (Ar) propone vari percorsi, illustrati per la prima volta in una guida che sarà presentata a Palazzo Casali la sera del 3 luglio (ore 10.00) in occasione della conferenza dedicata alla Viabilità nel territorio cortonese dall’età etrusca al Medioevo. Tra i percorsi, quello da Cortona al Castello di Montecchio Vesponi, baluardo difensivo della polis etrusca (14 luglio, partenza ore 9.30); dai Meloni del Sodo, i grandi tumuli arcaici di Cortona, ai Molini della Val di Loreto, alla scoperta degli antichi mulini ad acqua (22 luglio, partenza ore 9.30); da Ruffignano a Poggioni, lungo la strada che collegava la montagna cortonese e la Valle di Chio (28 luglio, partenza ore 9.30). Campiglia Marittima (Li) organizza A passeggio nella storia, un percorso trekking lungo la suggestiva Via delle Fonti fino alle miniere etrusche del Parco Archeominerario di San Silvestro (14 luglio, partenza ore 10.00); a Piombino (Li), il Parco Archeologico di Baratti e Populonia propone un percorso al tramonto dalla necropoli etrusca all’acropoli, lungo il tracciato dell’antica via basolata della Romanella (6 luglio, partenza ore 18.30). A Carmignano (Po), la Camminata etrusca, dal tumulo di Montefortini alla necropoli di Prato Rosello (1 luglio partenza ore 8.00) e dopo il grande successo dell’anno scorso, la passeggiata notturna, muniti di pila, all’area archeologica di Pietramarina (6 luglio, partenza ore 18.30). A Vaiano (Po) trekking archeologico notturno sulla Via degli Etruschi in Val di Bisenzio (3 luglio, partenza ore 18.00).
Tra le visite guidate, Poggibonsi (Si) propone una visita notturna, a lume di fiaccola, agli scavi di Poggio Imperiale (7, 8, 21 e 22 luglio, ore 21.30); Cecina (Li) due itinerari: quello Romano, un percorso a tappe in bici, cavallo e barroccio dalla torre di Vada, al quartiere portuale di S. Gaetano, alla villa e la cisterna di San Vincenzino per concludersi al Museo Archeologico di Rosignano con degustazione di antiche ricette (28 luglio, partenza ore 15.00); l’Etrusco, dal Museo Guerrazzi all’insediamento arcaico di Casalvecchio fino alla necropoli di Belora (21 luglio, partenza ore 10.00).
Molte le conferenze dedicate al tema di quest’anno, come: Carrara fra il marmo e il mare al Museo Civico del Marmo di Carrara, per riscoprire le strade che dalle cave portavano al porto di Luna e le vie consolari romane che collegavano Roma con Genova lungo la costa tirrenica (21 luglio, ore 21); Le antiche vie della Val d’Elsa in età antica e medievale alla Biblioteca Comunale di Montaione - Fi (12 luglio, ore. 21.15); Pellegrini sulle vie dell’Elba al Museo Archeologico di Rio nell’Elba (Li); Antiche vie di terra e di mare presso il Centro di Documentazione del Territorio di Scarlino - Gr (13 luglio, ore 17.00), a cui seguirà la presentazione del nuovo allestimento del Centro con visita guidata all’area archeologica della Rocca; Viaggiare sulle coste dell’Etruria Romana al Museo Archeologico del Territorio di Populonia di Piombino (13 luglio, ore 21.30).

I musei archeologici di Grosseto e Scansano propingono quest’anno la mostra Le vie del sacro. Santuari e depositi votivi nella Maremma etrusca e romana (7 luglio -- 30 settembre 2007) che presenta oltre cento oggetti votivi, principalmente terrecotte ma anche bronzetti, che rappresentano parti del corpo, teste di offerenti, animali domestici e bambini. Reperti, risalenti al IV, III e II sec. a. C, che provengono da santuari rurali e urbani, rinvenuti durante le campagne di scavo condotte negli ultimi decenni in Maremma. Molti degli oggetti votivi in mostra saranno visibili per la prima volta al pubblico, mentre altri, già facenti parte delle collezioni, saranno valorizzati nel percorso espositivo. Al Museo Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia la mostra Vetulonia e le altre. Le tappe del Commercio etrusco (8 luglio - 4 novembre 2007), che evidenzia il ruolo di Vetulonia all’interno della complessa rete di scambi che si vennero a creare tra i centri dell’Etruria in età orientalizzante e arcaica. In mostra 250 pezzi, tra cui due corredi funerari inediti: il primo proveniente dalla tomba del carro di Pian d'Alma, nel territorio dell'antica Vetulonia, l’altro concesso in prestito dal Museo Civico Archeologico di Chianciano Terme, con vasi dalle splendide decorazioni animali plastiche e canopo su tronetto, insieme ad altri pezzi di notevole valore. Alle Terme di Massaciuccoli a Massarosa (Lu), tornerà visibile dopo un lungo restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze il mosaico con animali fantastici, databile alla seconda metà del I sec. d.C., parte dell’edificio romano scoperto nel 1932. L’occasione è quella dell’inaugurazione del nuovo padiglione (28 luglio, ore 19.00), una modernissima struttura in vetro e legno che coprirà l’intera area archeologica, creando un percorso di visita con uno spazio espositivo, curato dal Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa, per i reperti provenienti dagli scavi di Massaciuccoli. Il mosaico, realizzato con tessere bianche e nere, presenta una cornice a fasce entro cui sono raffigurati cavalli o capri marini, grandi calici con steli che poggiano su un tralcio di foglie d’acanto e al centro due coppie di delfini con le code intrecciate. Integro al momento della scoperta, il mosaico è stato danneggiato negli anni ’60 del secolo scorso in seguito alla rimozione e alla posa su una base di cemento, che ha reso necessario l’intervento di restauro. Tra le iniziative più curiose e interessanti de Le Notti dell’Archeologia 2007, a Montalcino (Si) si svolgerà il percorso L’Etruria 5 milioni di anni fa: il fossile di balena, visita ai resti della più grande e antica balena fossile mai rinvenuta in Italia e nel bacino del Mediterraneo (5 luglio, ore 17.00). A Piombino (Li), appuntamento con La Cittadella del libro archeologico (6-15 luglio, ore 17.00-23.00), mostra mercato dove si possono trovare, a prezzi scontati, libri rari e introvabili sul mercato, mentre a Gavorrano (Gr) il Laboratorio di Educazione Ambientale LA FINORIA organizzerà un vero e proprio corso di scrittura e lingua etrusca per adulti e ragazzi diretto da un esperto (7 luglio, ore 21-21.30). Numerose le iniziative di didattica, rivolte ai ragazzi e agli adulti, ma soprattutto ai bambini tra i 7 e i 10 anni, secondo un progetto che mira all’avvicinamento dei più piccoli alla comprensione della vita quotidiana, gli usi e i costumi della Toscana antica.

Infine anche quest’anno la Rassegna Internazionale di cinema archeologico, realizzata in collaborazione con la “Rassegna del Cinema Archeologico Internazionale di Rovereto” e la rivista Archeologia Viva.

Il Programma dettagliato è consultabile su:

www.cultura.toscana.it/musei.htm e www.archeologiatoscana.it

Informazioni: tel. 055- 59.78.308

Ufficio Stampa Ambra Nepi Comunicazione
tel. 055/ 24 42 17 - 24 27 05 - 348-6543173
e.mail:ambranepicomunicazione@gmail.com

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05 luglio 2007

San Giovanni Valdarno (Ar). Archeologia preventiva e Grandi Infrastrutture

15 ottobre 2007

Un corso per far coesistere la necessità di costruire e quella di preservare il nostro patrimonio archeologico.

Il rapporto tra le esigenze di salvaguardia del patrimonio archeologico e quelle di pianificazione è da sempre conflittuale. Le esigenze operative che comportano i lavori di scavo, hanno portato il tema della valutazione del rischio archeologico e della archeologia preventiva in primo piano per chi si occupa di Beni Culturali, di progettazione e di edilizia.

Le normative tecniche per la valutazione dell'impatto di opere infrastrutturali sul patrimonio archeologico sono al centro del corso di Corso di Perfezionamento “Archeologia Preventiva e valutazione del Rischio archeologico: normative tecniche per la valutazione dell'impatto di opere infrastrutturali sul patrimonio archeologico” organizzato dal Centro di GeoTecnologie (CGT) dell’Università di Siena.

Il corso si svolgerà presso la sede del CGT di San Giovanni Valdarno (AR), ed annovera tra i docenti nomi prestigiosi quali quello del dott. Luigi Malnati, Soprintendente ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, uno dei maggiori esperti in materia di archeologia preventiva in Italia.

Accanto al professor Malnati il corso sarà tenuto da professionisti che operano direttamente nel settore come il dott. Roberto Andrighetto, ingegnere presso lo Studio Geotecnico Italiano, che da anni si occupa della progettazione di grandi infrastrutture; oltre che da ricercatori dell’Università di Siena esperti nell’uso delle geotecnologie e nel loro impiego nell’ambito dell’archeologia.

Visto lo stato attuale della archeologia preventiva nel nostro paese ed anche alla luce delle ultime leggi che sono state varate in materia, questo corso di perfezionamento, unico nel suo genere, nasce dalla necessità avvertita sia dagli operatori dei Beni Culturali, sia dai professionisti e dai progettisti che operano nel settore delle costruzioni, di procurarsi degli strumenti operativi indispensabili per la corretta valutazione della fattibilità dell'opera e per la messa a punto delle opportune strategie di intervento.

Il corso ha pertanto l’obiettivo di fare chiarezza sulla normativa che tutela il patrimonio archeologico in Italia ed illustrare dettagliatamente la legge 109 del 2005 relativa alla valutazione del rischio archeologico nella costruzione di grandi infrastrutture; mettere in evidenza le strategie di progettazione delle opere infrastrutturali; illustrare l’uso delle geotecnologie nell’ambito della valutazione del rischio archeologico e le tecniche di indagine preventiva. Per il suo approccio multidisciplinare, il corso è rivolto sia ad archeologi e ad operatori dei Beni Culturali che ad altre figure professionali quali geologi ed architetti, ingegneri ed avvocati.

Le iscrizioni al corso scadono il 15 ottobre 2007, per maggiori informazioni è possibile consultare il sito del Centro di Geotecnologie http://www.geotecnologie.unisi.it/Formazione/Corsi_Perfezionamento/ArcheologiaPreventiva/index.php o contattare la dott.ssa Giulia Gruppioni (e-mail: gruppioni@unisi.it tel. 055 91.19.449)

o la dott.ssa Alice Cartocci ( e-mail alice.cartocci@unisi.it tel. 055 91.19.449).

Fonte: "http://www.archeomedia.net"

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02 luglio 2007

Cercando Quirino. Traversata sulle onde elettromagnetiche nel suolo del Quirinale


Descrizione:
Dov'era il Quirinale, chi era Quirino? Queste domande non hanno avuto finora risposte chiare e sicure. Indagare quel mondo, che ci riporta indietro di 2900 anni, prima che Roma fosse "caput mundi", è stato cammino arduo e ricco di interrogativi irrisolti. Colli, monti e il sistema di rioni aggrumavano la forma arcaica di quella che sarebbe divenuta la città più famosa del mondo antico. Ma insieme a luoghi via via apparsi con maggiore chiarezza altri sono rimasti circondati da un'alea di mistero e di incertezza: l'Oppio, il Cispio, il Viminale, il Celio e per l'appunto il Quirinale. Anche la figura di Quirino divinità delle curiae a cui Romolo era stato assimilato, aveva mantenuto una fisionomia enigmatica. La ricerca ci aveva restituito informazioni preziose: la complementarità di Marte e Quirino, di guerra e pace; la connessione con la leggenda di Romolo; l'uso politico di quelle figure da parte di Cesare e Augusto, strateghi nel legare la propria immagine a quella di quei mitici attori dell'inizio di Roma. Nel corso di una imponente opera di ricostruzione di Roma antica in un Sistema informativo archeologico denominato "Imago Urbis" Carandini e il suo gruppo di lavoro hanno scrutato con il Georadar alcuni luoghi rimasti vaghi nelle mappe: fra questi il collis Quirinali e il Tempio di Quirino. Hanno individuato tracce importanti sia del colle che del tempio, il monumento gigantesco edificato da Cesare e da Augusto fra il 49 e il 16 a.C. Questo libro è la sintesi di questa esperienza archeologica.

Autore: Carandini Andrea
Prezzo: € 18,00
Dati: p. 96
Anno: 2007
Editore: Einaudi
Collana: Saggi

Fonte: "http://www.antikitera.net"

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