ARCHEOBLOG

Giornale archeologico e culturale costantemente aggiornato con le ultime notizie e gli ultimi approfondimenti storico-archeologici



31 ottobre 2006

"L'atleta della Croazia" in mostra a Firenze

La statua, riemersa nel 1997 nel mar di Croazia, raffigura un lottatore o un pugilatore nel momento in cui si sta detergendo il corpo dagli oli e dal sudore con lo "strigile" (in greco, apoxyòmenos). L'altezza della statua è di 1,93 m; il materiale è bronzo con elementi decorativi (labbra e capezzoli) in rame. Il paragone artistico, spesso proposto, è con i celebri Bronzi di Riace, che circa 20 anni fa furono esposti per la prima volta proprio a Firenze. Secondo numerosi studiosi il paragone è viceversa impossibile. Il professor Domenico Viggiano, per venti anni direttore dell'Accademia di Belle Arti a Firenze, è tra i maggiori sostenitori di questa tesi: "La differenza della testa rispetto al corpo è troppo grande", afferma. "Sono mani diverse. Non sto dicendo che l'Atleta di Croazia sia un imbroglio, ma penso che lo sia stato molto tempo fa. Insomma, un falso d'epoca". "E' indubbio che quella testa di adolescente ha nei capelli un naturalismo quasi ellenistico che contrasta con il corpo, oltretutto pieno di muscoli come se fosse di un adulto", è invece il commento di Cristina Acidini, Sovintendente ai beni culturali di Firenze. "A parte il problema della testa", ribatte il professor Viggiano, "c'è che quella statua è decisamente brutta: le braccia sono rozze, il torso inguardabile, le gambe di maniera. Io ci riconosco almeno quattro mani". Per l'archeologo Maurizio Michelucci, che considera splendida la statua, esiste un'ulteriore ipotesi per spiegare il contrasto tra la testa ed il corpo. "Nell'antichità", afferma, "c'erano gare riservate ai giovanissimi e forse l'Atleta di Croazia vinse la sua proprio perchè dotato di una muscolatura più sviluppata dei suoi coetanei. Comunque, riconosco una certa rigidità nelle mani".

L'Atleta di Croazia, dopo un lungo restauro, è stato esposto a Firenze dal primo ottobre. Fu individuato nel mare davanti all'isola croata di Lussino il 12 luglio 1997, a ben 45 m di profondità.

Stabilita la data della realizzazione con il Carbonio 14 e con l'esame delle modalità di fusione, è stato scoperto che ci furono nel tempo almeno due tentativi di restauro, come indicano alcuni frammenti di legno carbonizzati in tempi diversi ed una serie di tasselli messi con lo scopo di "ricucire" gli strappi della fabbricazione.

La datazione presupposta in cui l'Atleta abbia preso la via del mare è attorno al 100 d.C., forse perchè un mercante era riuscito a venderlo. La statua quindi doveva essere consegnata a qualche ricco signore dalmata che l'avrebbe collocata in qualche nicchia. Sorpresi nei pressi di Lussino da una forte tempesta che strappò anche l'ancora (in seguito ritrovata), i marinai avrebbero gettato in mare il prezioso ma pesante carico con l'unico scopo di alleggerire la nave.

Mostra

La Provincia di Firenze, insieme all'Opificio delle Pietre Dure, propone un altro grande evento culturale di portata internazionale. Per la prima volta potrà essere ammirato nella prestigiosa sede di Palazzo Medici Riccardi a Firenze dal 1° ottobre 2006 al 30 gennaio 2007, dopo un lungo e delicato restauro, il Bronzo di Lussino, ufficialmente chiamato "Apoxyòmenos - L'atleta della Croazia", una splendida statua romana del I secolo a.C., copia di un'originale greco del IV sec. a.C.

La mostra sarà aperta tutti i giorni dalle ore 09.00 alle 19.00 escluso il mercoledì.
Il prezzo del biglietto è di 5 euro intero e 3,5 euro ridotto.

Per informazioni: tel 055.2760.340

Fonte: "Specchio - La Stampa"; "Agenzia per il turismo di Firenze"

Pagina di approfondimento storico-archeologico della Toscana

30 ottobre 2006

Pompei (Na). Riaperto al pubblico il Lupanare

E' stato riaperto al pubblico il Lupanare, uno degli edifici pompeiani più conosciuti, oggetto del primo vero intervento di restauro complessivo, durato circa un anno, che ha interessato le strutture architettoniche in una prima fase, e, successivamente, gli apparati decorativi. Il restauro è stato realizzato dalla Soprintendenza archeologica di Pompei con fondi erogati dalla Compagnia di San Paolo di Torino.
Il Lupanare (da lupa, che in latino significa prostituta) era il più importante dei numerosi bordelli di Pompei, l'unico costruito con questa precisa finalità. Gli altri erano infatti di una sola stanzetta, spesso ricavata al piano superiore di una bottega.
Il Lupanare è un piccolo edificio ubicato all'incrocio di due strade secondarie: esso è costituito da un piano terra ed un primo piano collegati da una stretta rampa di scale. Era destinato, al piano terra, alla frequentazione di schiavi o delle classi più modeste e ciò si risente nella povertà della costruzione anche se il poco spazio è organizzato con grande razionalità. Il piano terra presenta due ingressi, un corridoio di disimpegno e cinque stanzette con letto e capezzale in muratura, chiuse da porte di legno, mentre sul fondo è ubicato una latrina. I letti in muratura venivano coperti da un materasso. Alle pareti sono visibili quadretti dipinti, raffiguranti diverse posizioni erotiche. Al piano superiore si accede da un ingresso indipendente ed attraverso una scala che termina su un balcone pensile si accede alle diverse stanze. Queste, più ampie e con maggiore decoro erano riservate ad una clientela di rango più elevato.
La costruzione dell'edificio risale agli ultimi periodi della città: in una cella l'intonaco fresco ha catturato l'impronta di una moneta del 72 d.C.
Nell'edificio è stato installato un sistema con sensori a raggi infrarossi per il rilevamento delle persone. Le apparecchiature fanno parte del progetto di monitoraggio: quello delle superfici affrescate e quello per l'afflusso dei visitatori. Il primo consente di eseguire una serie di indagini utili alla valutazione dello stato di degrado degli affreschi e delle cause che lo determinano, attraverso sensori che rilevano la temperatura e l'umidità dell'ambiente, della parete e della superficie affrescata, oltre alla percentuale di anidride carbonica all'interno dell'ambiente stesso. I sensori inviano in continuo via radio i dati ad una centralina, che, una volta impostato un campo di valori da rispettare, fa scattare un segnale di allarme.
Il sistema monitoraggio dell'afflusso dei visitatori (anch'esso elemento di stress per i monumenti) è invece composto da due cellule ad infrarossi, posizionate all'ingresso ed all'uscita dell'ambiente, che, superato il numero massimo prestabilito di 10 persone a volta, emettono un segnale di allarme.

Fonte: "MiBAC - Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Pagina di approfondimento storico-archeologico della Campania

29 ottobre 2006

Verucchio (Rn): Il potere e la morte. Aristocrazia, guerrieri e simboli

fino al 6 gennaio 2007

L’occasione è data dallo studio della Tomba del trono, pertinente ad un giovane uomo di circa 30/35 anni, il cui alto rango è testimoniato dai preziosi oggetti, tra cui un mantello recentemente restaurato da Annemarie Stauffer della Falchhoschschule di Colonia.
Corredi funerari prestigiosi che disegnano la società maschile di Verucchio nella fase orientalizzante della fine dell’VIII sec. a.C. sono i protagonisti della mostra “Il potere e la morte. Aristocrazia, guerrieri e simboli”, allestita fino al 6 gennaio 2007 presso il Museo Civico Archeologico di Verucchio, che per l’occasione ha aperto al pubblico la restaurata e attigua Chiesa di S. Agostino, nuovo spazio per mostre temporanee comunicante col museo stesso.
Nel percorso articolato in tre sezioni (abbigliamento, banchetto e guerra), oltre alla Tomba del Trono, fiorente all’occhiello del Museo, figurano i materiali dei più importanti contesti tombali di Verucchio in epoca villanoviana, freschi di restauro grazie al contributo dell’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, e gli oggetti frutto degli scavi condotti nel 2005. La mostra è promossa dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna con il Comune di Verucchio.

Per informazioni: 0541/670222

Visita il sito del Museo di Verucchio

Pagina di approfondimento storico-archeologico dell'Emilia Romagna

27 ottobre 2006

Roma. Si inaugura la mostra "Poco grano molti frutti" (Silio Italico). Cinquant'anni di archeologia ad Alba Fucens

Appartata e quasi inaccessibile tra i monti, circondata da prati e boschi dell’alto territorio del Velino Sirente e del Parco Nazionale d’Abruzzo, è adagiata Alba Fucens, l’antica colonia romana (fondata nel IV secolo a.C. per controllare i territori delle temibili tribù italiche), la piccola Pompei del centro Italia, governata da una raffinata classe dirigente che le conferì un ruolo di spicco. Meta fin dall’Umanesimo di numerosi studiosi, viaggiatori, amatori richiamati dalla fama letteraria e conquistati dalla “grandiosità naturale e illimitata” (Cesare Brandi) dell’ambiente, fu riportata alla luce nel corso di un’affascinante ed eccezionalmente lunga campagna di scavi durata più di mezzo secolo a partire dal 1949. Gli scavi hanno svelato il cuore dell’antica città romana: protetti da mura possenti sono riemersi il foro, il magnifico anfiteatro, il tempio di Ercole, lungo le strade lastricate il mercato e le terme, i resti di una Basilica, le case patrizie, le tabernae, i magazzini e poi opere in marmo, pietra, metallo, giocattoli in osso e legno.
Così a cinquant’anni dalla prima Alba, la splendida colonia romana torna a vivere nella capitale, lasciando immaginare l’emozione e il fascino dei primi archeologi che ebbero il privilegio di riportarla alla luce. Vivremo così l’emozione delle prime scoperte illustrate dalla documentazione di scavo, dalle lettere e dagli articoli a stampa che davano notizia delle prime sensazionali scoperte. Le bellissime foto d’epoca mostreranno il mistero e l’eccitazione della ricerca.

Sarà una particolarissima mostra dal titolo “Poco grano molti frutti” – da Silio Italico. Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens che cercherà di dare un “volto umano” alla ricerca archeologica, in particolare a quella del sito abruzzese, facendola uscire dall’asetticità dell’ambito accademico e animandola di personaggi, volti e storie autentiche.
“Poco grano molti frutti”. Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens è promossa dall’Ambasciata del Belgio e dall’Accademia Belgica, dalla Direzione regionale e Soprintendenza ai Beni Archeologici d’Abruzzo, dalla Regione Abruzzo e dalla Provincia dell’Aquila ed è ideata e realizzata dall’Associazione Antiqua. La cura scientifica è di Adele Campanelli, archeologa responsabile della zona. La mostra si terrà a Roma dal 31 ottobre al 10 dicembre presso l’Accademia Belgica per poi spostarsi a Bruxelles e a New York.
Dopo cinquant’anni di scavi e prima di avviarne di nuovi, la mostra si sofferma a riflettere sul percorso archeologico condotto finora ad Alba Fucens, tracciando la storia delle ricerche compiute in collaborazione con l’Accademia Belgica tra il 1949 e il 1979. Tra l’altro, una particolarissima coincidenza fa nascere questa mostra sotto il buon auspicio: l’attuale Ambasciatore del Belgio a Roma è Jean De Ruyt, figlio dell’archeologo De Ruyt, un pioniere della ricerca ad Alba e collaboratore di De Visscher, tra i primi ad intraprendere gli scavi. Nell’immediato dopoguerra le accademie straniere, infatti, iniziarono in Italia una collaborazione scientifica su temi e luoghi della storia che portò i Belgi in particolare, in un periodo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta, a compiere un grande lavoro di scavo, analisi ed approfondimento sul sito di Alba Fucens rendendolo l’unico in Abruzzo ad aver goduto di una tale continuità di ricerche che ha visto protagoniste tre generazioni di archeologi.
In mostra, in un allestimento che documenta le caratteristiche dei luoghi e i materiali archeologici della città romana scomparsa sotto un’immensa coltre di terra, forse a causa di un terremoto, troviamo materiali inediti o ristudiati recentemente, fonti letterarie tra le tantissime esistenti sulla Città, statue, busti in bronzo e suppellettili ritrovati all’interno delle mura ciclopiche (sulle quali in mostra emergono nuove scoperte) della città romana.
Ma soprattutto troviamo storie di personaggi eccellenti legati alla storia di Alba, come Agrippina, di cui in mostra c’è un bellissimo busto in bronzo, o il re Perseo di Macedonia “ospitato” da Alba una volta fatto prigioniero di Roma, Silla, o la regina Zenobia, Sutorio Macrone.

Accanto ai capolavori, come statue di Venere, efebi e dignitari con la toga, ritratti e oggetti esotici, sculture e arredi delle domus e dei giardini, mosaici ed affreschi, la mostra offre allo sguardo del visitatore reperti e stralci di vita quotidiana di 2000 anni fa. Balsamari in vetro e argilla, veri e propri giochi, bambole in legno, oggetti da toletta in osso e bronzo, aghi da cucito, pesi da telaio, monete, gioielli e ornamenti, lucerne, vasellame, arredi domestici, ceramiche e vetri da tavola.

La vera particolarità, però, è quella, alla vigilia dell’avvio di una nuova importante campagna di scavi che prenderà il via ad ottobre (la mostra rappresenta, quindi, l’anno zero di un nuovo ciclo della ricerca), di voler dare risalto al lato umano e spesso più nascosto o addirittura intimo del percorso archeologico condotto finora ad Alba, raccontando le storie di alcuni degli archeologi che si sono occupati degli scavi e fornendo testimonianza di quanto viaggiatori ottocenteschi, scrittori moderni e studiosi (Dumas, Lear, Cesare Brandi, etc.) hanno scritto di questa magica e una volta inaccessibile città romana conquistati dalla bellezza dell’ambiente. La mostra riesce a stupire con l’esposizione di diari di scavo, lettere, ricordi, bellissime foto che raffigurano perfino i bambini intenti a scavare, oppure i volti provati degli operai addetti agli scavi ricordandoci le difficoltà e l'arretratezza di quegli anni in cui era stridente il confronto con l'elegante formalità degli studiosi belgi ritratti in alcune istantenee mentre romanticamente dipingono le rovine.
Inedito anche l’allestimento, fatto di effetti multimediali che permetteranno ai visitatori di visualizzare le immagini dei personaggi e sentire voci, suoni, rumori di sottofondo in una sorta di esperimento di “radio archeologia” in grado di restituire alla memoria e alle emozioni, attraverso l’ascolto, il fascino di una ricerca avvenuta in tempi tanto lontani da apparire ora quasi mitici.
Una mostra-documentario, insomma, che riporta alla ribalta del grande pubblico la storia e l’attualità di Alba Fucens, per fare in modo che questa affascinante colonia romana, riemersa dalle macerie del terremoto del 501 a.c., lo stesso che distrusse il Colosseo (e non quello del Sannio come si era creduto finora), torni a far parlare di sé.

Per informazioni:
Cooperativa Alba Fucens - tel 0863/449642, 06/3611403
dal 31 ottobre al 10 dicembre 2006 - Roma, Accademia Belgica, Via Omero 8
ORARI: tutti i giorni escluso il lunedi 10,00 – 13,00; 15,00 – 19,00
ingresso gratuito.

Fonte: "ArcheoMedia"

26 ottobre 2006

Inserita la pagina della Regione Lazio

E' stata inserita la nuova pagina della Regione Lazio, con approfondimenti storico-archeologici. Attualmente trovate on-line una descrizione di Subiaco (visualizza la mappa), località ad est di Roma.

Clicca qui per visitare la pagina della Regione Lazio



24 ottobre 2006

Grecia: trovato un busto di Aristotele

Un busto in marmo di epoca romana raffigurante Aristotele e' stato rinvenuto dagli archeologi ai piedi dell'Acropoli di Atene. Il ritrovamento confermerebbe antiche descrizioni che attribuivano al filosofo greco un naso arcuato. Lo ha riferito l'archeologa Alkistis Horemi, responsabile degli scavi, secondo cui il busto - che e' alto 46 centimetri - e' 'il meglio conservato' fra quelli ritrovati e 'l'unico che lo rappresenta con un naso arcuato cosi' come ci e' stato tramandato'.

Fonte: "Ansa"

23 ottobre 2006

Udine. I Piceni e l’Europa.

fino al 31 dicembre 2006

Dal 20 ottobre è accessibile in Castello, nel Museo archeologico, la mostra intitolata "I Piceni e l'Europa" che comprende una settantina di oggetti dell'età del ferro.
Dopo le varie mostre dedicate ai Piceni, l'esposizione vuole presentare una significativa scelta della ricca collezione di oggetti provenienti da Montegiorgio (Ap), conservati nel museo dell'Università di Jena, accanto ai quali vi sono altri elementi delle civiltà altoadriatiche, provenienti da vari siti specialmente della Slovenia e della Croazia.
La mostra proseguirà successivamente per un museo di Ancona.

Fonte: "ArcheoMedia"

22 ottobre 2006

Germania. Insediamento di 7000 anni fa

I resti di un insediamento preistorico risalente al 5.000 a.C. circa è stato trovato vicino a Landshut (in Baviera, non lontano dalla Svizzera), durante i lavori di allargamento del cimitero cittadino.
Gli archeologi hanno trovato quella che sembra una discarica per immondizie databile intorno al 4.900 a.C. I disegni sui resti di terracotta e gli scarti della produzione di utensili in pietra inducono gli archeologi a pensare che si tratti di popolazioni provenienti dall'odierna Repubblica Ceca.

E' stata trovata anche una tomba celtica, nella quale è stata sepolta una donna di una tribù celtica vissuta nel II sec. a.C.

Fonte: "ArcheoMedia" - 21/10/2006 -

21 ottobre 2006

Costituito il "Centro Studi Marittimi" di Castello di Santa Severa (Rm)

In data 25 settembre 2006, il GATC - Gruppo Archeologico del Territorio Cerite -, in seguito ai risultati raggiunti dalla ricerca archeologica subacquea condotta dal GATC sui fondali pyrgensi in collaborazione con il Museo del Mare e della Navigazione Antica del Comune di Santa Marinella e con la Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale, ha deliberato la creazione del Centro Studi Marittimi.

Il Centro Studi si propone di:

1. Realizzare progetti di ricerca archeologica subacquea, navale e marittima nell'ambito del litorale dell'Etruria Meridionale con particolare riferimento a Pyrgi e all'antica costa cerite.

2. Provvedere alla raccolta dell'intera bibliografia specializzata, della cartografia nautica antica e moderna, della documentazione grafica, fotografica e aerofotografica dei principali siti storico-archeologici marittimi, a partire da quelli dell'antica costa cerite;

3. Realizzare progetti archeologici, museali, informatici per il Museo Civico di Santa Marinella e altre istituzioni nazionali ed estere.

4. Realizzare attività di formazione scientifica e culturale per gli operatori di Enti pubblici e privati addetti alla ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico sommerso tramite seminari, corsi e convegni.

5. Occuparsi di scienza e divulgazione anche attraverso la realizzazione di mostre, pubblicazioni scientifiche e illustrative inerenti la ricerca e i temi legati alla cultura del mare e alla "vita antica sul mare e per il mare" e di tutte le forme di navigazione in mare ed acque interne.

6. Realizzare modellistica scientifica e di archeologia sperimentale strutturale, informatica e multimediale presso il Laboratorio di Archeologia Navale del Museo Civico

7. Collaborare con altri istituti di ricerca nazionali ed internazionali nel campo dell'archeologia subacquea e della comunicazione.

8. Realizzare progetti di ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico e naturalistico sommerso di respiro nazionale ed internazionale.

Il Centro Studi è a tutti gli effetti un settore operativo del GATC con sede coincidente con quella del Gruppo, presso il Museo Civico nel Castello di Santa Severa, ed è così organizzato:
Flavio Enei (Coordinatore scientifico), Giuseppe Fort (Responsabile archeologia subacquea e navale); Stefano Giorgi (Responsabile archeologia marittima e portuale), Cristina Civinini, Fabio Papi, Marco Fatucci, Simona Vagelli, Mauro Giorgi (Operatori subacquei), Enrico Balsani (Responsabile tecnico logistico);

Il Centro Studi si farà promotore di progetti in collaborazione con Associazioni, Enti ed Istituzioni italiane e straniere, avvalendosi della consulenza di studiosi e specialisti del settore subacqueo e navale tra i quali Marco Bonino (Università degli Studi di Bologna); Marco Campolungo (Studio Blu Production); Claudio Mocchegiani Carpano (Sezione Archeologia Subacquea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); Valeria D'Atri (Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale); Barbara Davidde (Istituto Centrale per il Restauro), Giulia D'Angelo (Libreria Internazionale del Mare); Antonio Ferrara (Archeodromo); Luigi Fozzati (Università degli Studi di Venezia); Piero Alfredo Gianfrotta (Università degli Studi di Viterbo); Mario Mazzoli (Associazione ASSO); Mario Palmieri (Laboratorio di Archeologia Navale del Museo Civico); Roberto Petriaggi (Università di Roma 3).

Per ulteriori informazioni, le persone interessate possono rivolgersi al Dr. Flavio Enei, tel.: 0766/570077, e–mail: muspyrgi@tiscali.it

Fonte: "Redazione Archaeogate"

20 ottobre 2006

Forgaria nel Friuli (Ud). Scavi finiti dopo 12 anni

E' stato inaugurato da pochi giorni il parco archeologico di Castel Raimondo.

Dopo 12 anni di scavi, coordinati prima dall'Università di Bologna poi da quella di Parma, che hanno portato nel paese pedemontano studenti da tutta Italia, si è potuto presentare il sito alla cittadinanza, oltre che alle autorità civili e religiose intervenute per l'occasione.

Hanno infatti partecipato all'inaugurazione il vice presidente del Consiglio Regionale, Carlo Monai, e diversi rappresentanti della Provincia di Udine, tra cui il Presidente Strassoldo.

Ad affiancare gli amministratori di Forgaria non sono mancati Lino Not, sindaco di Ovaro, e quelli austriaci di Dellach am Gail ne Uttendorf, partner del Comune collinare nel progetto di valorizzazione dei parchi archeologici lungo la via Iulia Augusta finanziato attraverso il progetto Interreg III Italia-Austria.

Per circa 340mila euro di spesa complessiva, dei quali 270mila di contributo regionale, si è intervenuti sul sito attraverso la realizzazione di una serie di strutture realizzate dalla Alpe Costruzioni Srl per proteggere i resti e per facilitarne la fruizione da parte del visitatore, accompagnato lungo la passeggiata da una serie di tavole illustrative.

"Speriamo" - ha commentato il sindaco Mario Vicedomini - "che nel futuro il parco archeologico di Forgaria possa inserirsi inn una rete più ampia che colleghi i principali luoghi di interesse archeologico in regione".

Sul sito, che ospitò un villaggio in epoca pre-romano (IV sec. a.C.), una fortezza romana (dal I sec. a.C. fino al V d.C.) e un castello medievale, oggi rimangono tracce consistenti, principalmente in tre punti.

Iniziando la visita, condotta ieri da Sara Santoro, docente dell'Università di Parma che dall'88 ha diretto gli scavi, ci si imbatte nella grande casa-santuario del IV secolo a.C.

Per un non addetto ai lavori non è semplice figurarsela come doveva essere, ma dagli studi effettuati si sono scoperti, circa al centro dell'abitazione, due cerchi di pietre e alcune offerte votive ovvero i resti di un rito di fondazione, inoltre sono state rinvenute, sempre all'interno della casa, piccole ossa di undici neonati.

Allo stesso periodo appartengono, site poco più avanti, le due abitazioni del villaggio dei fabbri, dalle quali si è scoperto che il sito doveva essere importantissimo per la lavorazione del ferro.

Al I sec. a.C. risale invece la costruzione della Torre di Guardia. Si tratta del punto più suggestivo del parco poichè dalla torre ricostruita in legno il panorama è mozzafiato: si dominano infatti allo stesso tempo la valle del Tagliamento e quella dell'Arzino.

Fonte: "Messaggero Veneto" - Autore: Maura Delle Case

La notizia è segnalata anche in ARCHEOMEDIA

19 ottobre 2006

Pozzuoli (Na). Nuove scoperte a Rione Terra

L'ultima notizia è di pochi giorni fa, quando dal Rione Terra di Pozzuoli è tornato alla luce uno splendido rilievo marmoreo raffigurante una scena votiva dedicata alla Giunione Sospita.

Ma il «collage» dei percorsi flegrei dedicato al culto e al mistero di Iside nella terra dei campi ardenti è praticamente infinito. Cuore pulsante del favoloso mito egizio restano le colonne e i fregi del più famoso Serapèo simbolo della storia locale, termometro indelebile del bradisismo, con il suo eterno ritmo che misura la risalita e l'abbassamento del suolo puteolano. Nello stesso tempo, sono migliaia le testimonianze dell'antica arte orientale ritrovate (e non sempre salvate, purtroppo) nel corso delle campagne di scavo condotte nel centro storico e nelle periferie di Pozzuoli, Baia, Bacoli, Cuma, Miseno e Liternum.

Piccole e grandi opere decorative, pezzi raffinati di mercanzie in oro, argento, bronzo, avorio, arrivati dal mare, «aegyptiaca» autentici, ovvero amuleti in forma di scarabei, collane, pendagli e statuine in ambra e pasta di vetro, commissionate in serie dai ricchi commercianti flegrei che controllavano il traffico nel porto commerciale fino all'avvento di Ostia.

Un patrimonio sino a pochi anni fa insospettabile per i musei e i siti archeologici dell'area puteolana. Una realtà in parte inedita per gli antiquari minori della periferia flegrea. In minima parte le scoperte dell'antica arte egiziana hanno impreziosito la mostra destinata al museo del Rione Terra, allestita per il momento nei locali (un po' troppo decentrati) del Castello aragonese di Baia. Una testimonianza in più del culto definito dell'egittomania: una vera e propria moda, espressa non soltanto nelle pitture delle case e degli edifici pubblici, ma anche attraverso le decorazioni scultoree di mobili e giardini, oggetti di faience, suppellettili, amuleti, monili.

Pozzuoli, dagli studiosi definita la "Delo minore d'Italia", certamente fu l'emporio mediterraneo più aperto agli scambi delle comunità straniere, centro nevralgico delle attività commerciali che governavano i sistemi economici del mondo antico. I legami fra le comunità campane e l'Egitto in epoca romana, infatti, non si limitarono al culto di Iside, di Serapide, di Arpocrate: in seguito alle conquiste di Augusto, sotto l'impulso della corte imperiale, si diffuse a macchia d'olio il filone dell'egittomania.

Tutto questo, e altro, si condensa nel progetto della mostra da domani aperta negli spazi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Con una nota di grande interesse in più, proposta nel catalogo da una testimonianza storica del professore Fausto Zevi, per molti anni Soprintendente ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta. Un contributo indispensabile per rileggere l'importanza del ruolo centrale svolto dalla comunità puteolana sino ai giorni fatali della decadenza.

Fonte: "Il Mattino" - 17/10/2006 -

La notizia è segnalata anche in ARCHEOMEDIA

Pagina di approfondimento storico-archeologico della Campania

18 ottobre 2006

Lucca: rinvenuta casa di epoca romana

La “Pompei di fango” continua a riservare sorprese agli archeologi. Nell'area situata nei pressi del nuovo casello autostradale di Capannori (Lucca), dove gli studiosi hanno scoperto un villaggio romano sommerso da un'alluvione, è emersa nei giorni scorsi una casa di epoca romana, risalente al 180 a.C. All'interno della casa sono visibili le travi.
Gli scavi hanno portato alla luce anfore, vasellame, una fibula bronzea, granaglie e sementi, uno scarabeo e cinque coleotteri.
Nelle settimane scorse la “Pompei di fango” aveva restituito gli scheletri di due neonati e di un cane, oltre a botti, anfore e un ampio contenitore per il vino.

Fonte: "Adnkronos"

Lucca. Riaffiora una "Pompei di fango" a Capannori

Pagina di approfondimento storico-archeologico della Toscana

17 ottobre 2006

Torino. Argenti – Pompei, Napoli, Torino.

dal 26 ottobre 2006 al 4 febbraio 2007 - Torino, Museo di Antichità

Proseguirà a Torino il cammino della grande mostra "Argenti a Pompei". Realizzata per iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e promossa e sostenuta dalla Regione Campania, Assessorato al Turismo e ai Beni culturali, e dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo, la mostra sarà ospitata dal Museo di Antichità di Torino dal 26 ottobre 2006 al 4 febbraio 2007.
La Mostra, che prende il nome di "Argenti. Pompei, Napoli, Torino" avrà un nuovo apposito allestimento, con l’esposizione delle argenterie d’età romana conservate nel Museo torinese: il Tesoro di Marengo e il vasellame appartenente alle collezioni sabaude d’antichità greco-romane.
L’accostamento tra i reperti pompeiani e i preziosi oggetti torinesi offre al visitatore la possibilità di ricostruire un percorso ideale che, da Pompei alle collezioni del Museo Archeologico di Napoli sino alle collezioni del Museo di Antichità di Torino abbraccia più di tre secoli di storia del grande artigianato artistico antico e introduce alla formazione del gusto e del collezionismo moderni.

Gli Argenti da Pompei

I ritrovamenti di argenterie, rinvenute presso i corpi delle vittime dell’eruzione, in contesti domestici tra le suppellettili delle case più abbienti o conservati in luoghi giudicati sicuri sono annotati nella storia degli scavi sia di Pompei che del suo suburbio: si tratta quasi sempre di interessanti e pregiati esemplari di vasellame per bere (argentum potorium) e di vasellame per mangiare (argentum escarium) o di oggetti legati alle abitudini quotidiane più raffinate, come specchi o utensili da toeletta, appartenenti a quella produzione di argenteria che si colloca cronologicamente tra l’età di Silla e il 79 d.C.

L’ampia varietà funzionale e formale documentata si traduce anche nel vasto differenziarsi quantitativo della composizione dei servizi d’argento presentati in Mostra, che va da un paio di recipienti alle centinaia di pezzi che compongono i tesori.

I 260 pezzi provenienti da Pompei documentano come lo stretto rapporto tra il ceto del proprietario e lo sfarzo si declinasse nella proprietà di servizi del genere, divenuti simboli di stato e, come tali, ambiti da quasi tutte le classi sociali.

Aiutano a definire un articolato quadro di insieme i numerosi affreschi ed il ninfeo in pasta vitrea presentati alla Mostra, suggerendo all’immaginario del visitatore la ricostruzione dello spazio fisico all’interno del quale gli argenti erano utilizzati, nonché le modalità dell’utilizzo stesso.

Gli Argenti del Museo di Antichità di Torino - Il Tesoro di Marengo

La storia moderna di questo Tesoro inizia nel 1928, in località Spinetta Marengo, presso Alessandria, nelle cui campagne venne casualmente rinvenuto interrato in una fossa. Il complesso occupa un posto preminente nell’argenteria della piena età romana: la presenza del bellissimo busto, in grandezza naturale, dell’imperatore Lucio Vero fornisce un termine per la datazione alla seconda metà del II secolo d.C.

L’eterogeneità qualitativa, funzionale e cronologica del materiale, il luogo e le condizioni di conservazione al momento del ritrovamento lasciano ipotizzare che anche in questo caso - come per gli argenti da Pompei - sia stato un evento particolare (la fuga precipitosa dopo un saccheggio o, al contrario, il tentativo di preservarli dalla razzia) - a garantirne la conservazione ed il successivo recupero.
I 20 oggetti presentati in mostra sono probabilmente pertinenti - assieme ad altri frammenti minori, non esposti - ad un edifico di culto, al cui apparato decorativo potrebbe appartenere una fascia decorata a rilievo con un teoria di divinità e del cui materiale votivo farebbe parte un’iscrizione votiva a Fortuna Melior.

Gli argenti delle collezioni sabaude

Alle collezioni museali derivate dalle raccolte antiquarie della dinastia Savoia, costituite fin dal Cinquecento, appartiene un gruppo di quindici vasi (tra cui un vassoio ovale, patere con manico e coppe) quasi tutti decorati a incisione e a sbalzo con motivi figurati e vegetali di origine ellenistica, rielaborati da artisti argentieri tra il I e il II/III secolo d.C. Di origine sconosciuta, questi vasi trovano in parte confronti in argenti romani coevi delle province transalpine (Gallia e Germania). Ad essi si aggiunge una pregevole coppa decorata a sbalzo con raffigurazione di Amazzonomachia, rinvenuta alla fine del Settecento nella riva del Po, presso la città romana di Industria - Monteu da Po (Provincia di Torino).

Per informazioni:

Sede Espositiva: Museo di Antichità, Via XX Settembre, 88 - 10122 Torino

Giorni e orario di apertura: martedì - sabato, 9.30 – 19.30; lunedì chiuso

Ingresso: € 4,00 (gratuito ai minori di 18 anni; agli ultra 65enni; con card abbonamento musei)

Fonte:"Archeomedia"

15 ottobre 2006

Roma. XVI Rencontre sur l’épigraphie du monde romain. “Epigrafi, epigrafia, epigrafisti”

dal 18 al 21 ottobre 2006

Roma, Museo dell’Arte Classica, Aula Odeion-Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano

Potete consultare il programma alla pagina:

http://www.edizioniquasar.it/programmarencontreII.htm

Durante l'incontro sarà presentato il volume di Silvio Panciera: Epigrafi, epigrafia, epigrafisti. Scritti vari editi e inediti (1956-2005) con note complementari e indici; Edizioni Quasar 2006.

Per ulteriori informazioni: qn@edizioniquasar.it

14 ottobre 2006

Albinia (Gr): torna alla luce un grande complesso industriale

Lungo la via Aurelia sono da poco tornati alla luce i resti di un enorme complesso produttivo legato al commercio del vino con la Gallia. Nei pressi della foce del fiume Albegna, tra la sponda sinistra del fiume e l'abitato attuale di Albinia (provincia di Grosseto), da 6 anni sono portate avanti le ricerche che hanno permesso di individuare un impianto "industriale" di età romana destinato soprattutto alla cottura delle anfore. Già nel 1977 lo studioso britannico David P.S. Peacock aveva ipotizzato la presenza di alcune fornaci per anfore: una vasta chiazza circolare rossastra era stata individuata nel campo ad ovest dell'Aurelia. Numerosi frammenti fittili, continuamente sollevati dall'aratro, emergevano dal terreno. Furono svolte continue ricognizioni archeologiche ed intraprese poi operazioni di scavo.
Con l'avvio delle ricerche sul campo nel 2000, sono state individuate le parti superiori di due fornaci a pianta rettangolare. Oggi risultano messe in luce ben dodici fornaci, alcune centinaia di anfore, numerosissimi frammenti fittili e quasi 2000 mq di strutture archeologiche. La datazione riguarda un periodo compreso tra gli ultimi decenni del II sec. a.C. e la seconda metà del I sec. d.C.

Pagina di approfondimento storico-archeologico della Toscana

13 ottobre 2006

Porto Torres (Ss). Gli scavi nell'area portuale. Riaffiorano i resti delle terme romane di Turris Libissonis

Al profilo conosciuto della vecchia Turris Libissonis, la città che fa da fondamenta all'attuale Porto Torres, si è aggiunto un tassello importantissimo. L'ultima scoperta ha qualcosa di particolare perché è testimone di quel centro ricco di vita e snodo commerciale con il resto della Sardegna che passava tra la foce del fiume Mannu, le terme e il porto.
L'area nella quale sono stati rinvenuti i segni del glorioso passato di Turris è quella della Piccola, la zona che si estende tra il porto e la nuova stazione marittima. Sono stati rinvenuti i primi enormi blocchi di pietra lavorata durante la costruzione del mega parcheggio da 200 stalli che dovrebbero servire il centro storico e il futuro museo del mare.
Ad un controllo più accurato da parte della soprintendenza per i beni archeologici però non sono emersi fuori piccoli reperti, ma grandi strutture murarie che fanno pensare che ci si trova di fronte al perimetro delle ville costruite in prossimità delle terme Maetzke o al proseguimento delle stesse.
Non meno importanza viene data dal ritrovamento di alcuni tratti, lunghi alcuni metri, di pavimentazione costruita con larghi blocchi squadrati. Le direttrici che percorrono sono quelle dei classici Cardi e Decumani, le strade principali e più importanti per i traffici commerciali nel periodo della colonia romana.
Sarebbero risalenti al primo secolo, infatti, gran parte delle mura rinvenute. Anche se nella stratificazione potrebbero essere portati alla luce reperti di epoche diverse. Come di consueto per questo tipo di scavi sono venute alla luce anche delle sepolture, con il loro corredo di vasellame e quant'altro.
L'argomento è delicato data l'importanza del ritrovamento e del progetto di valorizzazione dell'area per il quale è previsto un finanziamento di 460 mila euro che si sta portando avanti.
Il parcheggio, infatti, sarebbe solo una delle funzioni che la zona potrebbe concedere alla città (resta da vedere ora se i lavori verranno interrotti) che necessita di un ampio piazzale pavimentato e con aree verdi da aggiungere al complesso di strutture che stanno sorgendo per dare vita al nuovo centro portuale turritano.

Fonte: "L'Unione Sarda"

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12 ottobre 2006

Roma. Un passo avanti nella tutela internazionale del patrimonio archeologico

La stampa italiana e quella internazionale ci hanno informato dell’accordo raggiunto tra il Ministero dei Beni Culturali ed il Metropolitan Museum di New York, riguardante una serie di importanti oggetti archeologici – tra i quali il “vaso di Eufronio” e gli “argenti di Morgantina” – che da parte italiana si ritengono frutto di scavi illegali e di un altrettanto illegale commercio.

Il felice esito della vicenda è arrivato dopo decenni di indagini e di negoziati. I termini dell’accordo, che recepiscono le posizioni del nostro Ministero dei Beni Culturali, sono noti. Da un lato il Metropolitan Museum riconosce la proprietà del Governo italiano sugli oggetti, si impegna a restituirli ed a non effettuare in futuro acquisti di oggetti di cui non sia certa la provenienza. Dall’altro, il Governo italiano promette di concedere in prestito di lunga durata al Museo americano gli stessi oggetti o, eventualmente, oggetti di pari valore. La durata massima del prestito è stata portata ad un massimo di quattro anni.

Entrambe le parti possono rallegrarsi del risultato raggiunto. Il MiBAC ha affermato un importante punto di principio e di sostanza: il riconoscimento della proprietà dello Stato italiano sugli oggetti di scavo, sulla base della Legge del 1939. Scoraggiare gli acquisti indiscriminati da parte delle grandi istituzioni museali significa togliere ossigeno agli scavi clandestini i quali, oltre a sottrarre oggetti di grande valore, distruggono gran parte del significato scientifico e storico degli oggetti stessi, cancellandone il rapporto con il contesto archeologico dal quale provengono.

Con il recente accordo, infatti, il Metropolitan potrà non solamente ottenere in prestito a lunga durata importanti opere d’arte dell’antichità italiana, ma anche il relativo “corredo archeologico” ed altri oggetti che permetteranno ai fruitori di valutarne l’orizzonte culturale di provenienza. Nelle parole del negoziatore italiano, Giuseppe Proietti, Capo del Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione del MiBAC “Un oggetto isolato può essere bello dal punto di vista estetico, ma esposto insieme al suo corredo di scavo diventa qualcosa di più”.

A questo risultato hanno concorso due fattori. Innanzitutto la determinazione e la costanza dell’azione italiana avviata poco dopo l‘acquisto degli oggetti da parte del Metropolitan, nell’ormai lontano 1972, e di cui sono stati protagonisti il MiBAC, il Ministero degli Affari Esteri, il Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, e la Magistratura, con la collaborazione del FBI. è stato un gioco di squadra che si è basato su complesse indagini in Italia ed all’estero, e che è proseguito sia con azioni sul piano giudiziario che su quello di delicati negoziati internazionali.

La validità dell’impostazione perseguita è confermata dal fatto che anche il Getty Museum di Los Angeles sembra orientarsi ad accettare una soluzione simile a quella accettata dal Metropolitan.

L’altro fattore, del tutto inaspettato che ha concorso a convincere la parte americana della opportunità di contrastare il traffico illecito di antichità, è stata la realizzazione, nel periodo più recente, di quanto tale traffico sia stato infiltrato dal terrorismo internazionale (ma anche da ambienti del narco traffico).

Se nel decennio scorso erano stati accertati episodi che coinvolgevano l’IRA irlandese, più recentemente sono emerse concrete connessioni operative collegate sia al finanziamento dell’insorgenza irachena che ad al Qaeda.

La positiva soluzione della controversia con il Metropolitan (e, probabilmente, di quella con il Getty), che tanta attenzione ha ricevuto dalla stampa internazionale, sarebbe in realtà lungi dal costituire di per sè la soluzione ad un problema diffuso come quello del traffico illecito di oggetti archeologici, di cui l’Italia è una delle principali vittime, ma che - come è noto – interessa tanti altri Paesi che sono responsabili di un ricco patrimonio archeologico: più vicini a noi la Grecia e l’Egitto, ma anche la Cina, l’India e tanti paesi dell’America latina. Ma, come dice lo stesso Philippe de Montebello, Direttore del Metropolitan Museum, l’esito della controversia tra il Met ed il MiBAC costituisce un “mutamento epocale” (“sea change”) avvenuto nei musei nel periodo più recente che implica “l’adozione di nuove linee guida etiche e di politiche di acquisizione più restrittive” . . . “inchieste rigorose vengono ora condotte prima di ogni acquisto e non vi sono dubbi che nel futuro un numero molto minore di reperti corrisponderà ai nostri criteri”.

Tali criteri, e questo è fondamentale, iniziano ad avere una tutela internazionale. Lo scorso 23 gennaio infatti è stato firmato il rinnovo del Memorandum of Understanding tra Italia e Stati Uniti del 2003 con il quale questi ultimi si erano impegnati a non fare entrare sul loro territorio reperti archeologici che non fossero accompagnati da un credibile certificato di origine. Il rinnovo di tale Memorandum non era scontato, in quanto esso aveva sollevato l’opposizione di lobbies e di associazioni di collezionisti e di commercianti d’arte, ma, probabilmente, il mutamento di atteggiamento del Metropolitan e del Getty farà scuola tra i Musei americani.
Per quanto riguarda gli altri principali mercati di commercio di oggetti di provenienza archeologica, i musei archeologici italiani hanno stipulato fin dal 2003, sotto l’egida del MiBAC, un accordo con una serie di musei tedeschi con i quali questi ultimi si impegnano a non effettuare acquisti di oggetti di provenienza dubbia, in cambio di una politica di prestiti di lunga durata da parte dei Musei italiani.

Una soluzione che prefigurava quella che è stata poi accettata da parte americana. Ma quello che è più interessante è che anche la Svizzera, che è notoriamente un importante centro di commercio e di transito di materiale archeologico illecitamente scavato, ha firmato un accordo con l’Italia, ed ha adottato una legislazione interna molto severa.
Tra i paesi che sono importanti mercati di antichità rimane “scoperta” solamente la Gran Bretagna, con la quale non abbiamo un accordo, e vale solamente la legislazione comunitaria che, in questo campo, non sembra particolarmente efficace.

Sul versante dei paesi che, come l’Italia, sono vittime del traffico illegale, è stato registrato l’interesse della Grecia per le soluzioni da noi raggiunte e, sopratutto, della Cina.

Con Pechino è stato raggiunto e firmato un importante accordo che prevede l’appoggio reciproco nella lotta contro il traffico illegale, che arriva fino alla interruzione dei rapporti con i musei di paesi terzi che effettueranno acquisti di oggetti provenienti illegalmente dall’altro partner dell’accordo.In pratica l’azione italiana, condotta magistralmente dal MiBAC, dal Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri e dalla Procura di Roma, sta creando una rete di accordi e di rapporti tra Stati e musei che viene a garantire una tutela crescente ad un nostro importante interesse nazionale, quello della preservazione del nostro patrimonio archeologico, e ad un altrettanto importante interesse scientifico, quello della analisi e pubblicazione scientifica dei risultati di ogni scavo.

Fonte: "CivitaInforma" - 09/10/2006 - Autore: Francesco Aloisi de Larderel

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11 ottobre 2006

Riapre la stagione di appuntamenti per l'anno 2006/2007 al Museo Archeologico di Bologna

La stagione di appuntamenti al Museo Civico Archeologico si apre quest'anno il 15 ottobre alle ore 16 all'insegna della contiguità e della continuità fra museo e città: ciò che il museo ospita è in grandissima parte testimonianza della storia e dello sviluppo della città e del territorio in cui ancora oggi viviamo e che a quel passato, apparentemente così lontano, sono ancora profondamente legati. Questo è tanto più evidente per le epoche che, come quella romana, hanno lasciato nel tessuto urbano testimonianze monumentali. Allora perché non avventurarsi in una passeggiata all'indietro nel tempo, da cittadini romani, per le strade di Bononia? Chi cederà alla tentazione avrà senz'altro qualche gradevole sorpresa.

Come sempre numerose e interessanti sono anche quest'anno le novità proposte, che offrono svariate occasioni di approfondimento. Con la rassegna "Prima di Roma: popoli e civiltà dell'Italia antica", i pomeriggi del mese di Novembre saranno dedicati alla complessa realtà dell'Italia prima dei Romani, un mosaico di popoli descrittoci già dagli storici antichi, talvolta sotto il velo della leggenda, ma che a partire dalla fine dell'800 le scoperte archeologiche hanno contribuito a svelare con sempre maggior precisione. Archeologi impegnati nelle ultime ricerche sul campo illustreranno quindi l'evoluzione e la cultura di alcune importanti popolazioni della nostra Penisola nell'Età del Ferro.

Con "Girovagando per i musei della Regione" apriremo una finestra sui musei archeologici della nostra regione, uno straordinario patrimonio che permette di ricostruire millenni di storia di un territorio posto per sua natura alla confluenza di correnti culturali, e commerciali, punto di incontro e di contatto fra genti diverse. Un'occasione per conoscere da vicino due di questi musei, descritti dai loro curatori.

Si rinnova anche quest'anno l'appuntamento con il ciclo "Attraverso i Musei di Bologna", per ricomporre i fili che uniscono gli oggetti e le storie custodite nei diversi musei della città: il tema sarà "Bologna in età Napoleonica" e toccherà, oltre al Museo Archeologico, il Museo del Risorgimento, le Collezioni Comunali d'Arte, Il Museo del Patrimonio industriale, il Museo della Musica.

Ritorna inoltre "Tutti insieme archeologicamente", dedicato alle famiglie che amano trascorrere le loro domeniche al Museo. Dei dieci appuntamenti in programma cinque rientrano nel ciclo "I duellanti: genitori e figli a confronto" in cui i figli sfidano i genitori seguendo separatamente visite guidate sullo stessa tema e partecipando alla fine tutti assieme ad un momento di verifica-sfida.

Infine, accanto alle tradizionali visite guidate generali, il Museo offre anche quest'anno a tutti i visitatori e, in particolare, approfondimenti di temi specifici che, oltre a soddisfare le curiosità sul mondo antico, propongono letture sempre nuove degli oggetti conservati in Museo. Attraverso gli appuntamenti di "Libera/CuriosaMENTE" si potranno scoprire i segreti dell'arte e dell'artigianato dall'Egitto a Roma, o quelli della vita militare nell'Italia antica, ma anche ciò che gli oggetti rivelano su religione e magia, su moda e bellezza e su tanti altri aspetti delle società antiche.

Fonte: "Redazione Archaeogate" - 10/10/2006

Pagina di approfondimento storico-archeologico dell'Emilia Romagna


10 ottobre 2006

Roma. Necropoli romana ai Musei Vaticani

Il 12 ottobre 2006 viene presentata la necropoli romana della Via Triumphalis, compresa la nuova sezione scoperta nel 2003 durante i lavori per la realizzazione del parcheggio di Santa Rosa all’interno dello Stato della Città del Vaticano. Con lo scavo di quest’ultima importante area archeologica è stato possibile salvare un cospicuo tratto della necropoli, che, insieme a quelli già scavati in passato sotto all’Autoparco, all’edificio dell’Annona vaticana e accanto alla fontana della Galea, si estendeva lungo le pendici della collina al lato della Via Triumphalis. Lo scavo ha portato alla scoperta di numerosi edifici sepolcrali e sepolture singole segnalate da cippi, stele, altari e lastre con le relative iscrizioni: tale apparato epigrafico risulta di eccezionale interesse storico-sociale. La maggior parte delle tombe si trova in ottimo stato di conservazione e la datazione è compresa tra l’epoca di Augusto (23 a.C.-14 d.C.) e quella di Costantino (306-337 d.C.). Alcuni degli edifici presentano interessanti decorazioni parietali ad affresco e a stucco, pavimenti a mosaico. Inoltre, sono venuti alla luce anche sarcofagi ed are decorati con sculture di alto livello qualitativo.

La nuova area archeologica, inglobata nell’edificio del parcheggio grazie a una modifica del progetto originario, potrà essere visitata - come già avviene per la Necropoli dell’Autoparco - previa richiesta alla Direzione dei Musei Vaticani.

Fonte: "Adnkronos/Adnkronos Cultura"

09 ottobre 2006

Brescia. La necropoli romana svela i suoi segreti

Sono 36 le tombe scoperte a San Polo dopo due mesi di scavi archeologici.
Tornano agli onori della cronaca le tombe romane scoperte la scorsa primavera durante gli scavi per la realizzazione del Metrobus in zona San Polo.
Era il 21 aprile quando emerse la copertura di una tomba romana a incinerazione. Da quel ritrovamento, infatti, è stata portata avanti «una campagna, di scavi sistematici che ha consentito di indagare, in circa due mesi di lavori, una necropoli ubicata subito a ovest del corso del Garza», come spiega in una nota Filli Rossi, direttore archeologo dell'ufficio bresciano della Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia.
«Sono state scavate complessivamente 36 tombe (dunque tredici in più rispetto a quante erano state scoperte in un primo tempo, ndr), 32 delle quali a incinerazione e quattro a inumazione», prosegue la Rossi. Grazie a questa scoperta «sono state ricavate utili informazioni sul rito funebre che consisteva nella cremazione dei corpi in luoghi deputati all’interno della necropoli e nel successivo seppellimento nelle fosse dei resti cremati insieme al corredo e alle offerte alimentari: sono infatti state ritrovate anche parti delle barelle funebri e di pane carbonizzato».
Per quanto concerne invece le sepolture a inumazione la Rossi precisa che “riguardavano quasi esclusivamente neonati o bambini, e adolescenti. Tra i materiali di corredo recuperati, tutti databili tra la fine del I e il II secolo d. C., si segnala la presenza frequente di coltelli e di lucerne; inoltre brocche, ciotole e coppe di terracotta, una bottiglia di vetro, aghi, uno stilo, una spatola, una piccola pisside in bronzo, oggetti d'ornamento”.
Ritrovamenti questi tutti estremamente significativi, tant'è che l’archeologa osserva che «la necropoli, certamente da riferirsi a un insediamento abitativo "minore" a sud-est di Brixia, rappresenta un dato nuovo di estremo interesse per il territorio».
E’ bene inoltre ricordare che a conclusione dello scavo, coordinato da Viviana Fausti per la Cal e condotto in piena collaborazione tra la Soprintendenza archeologica, Ati Metrobus e Brescia Mobilità, i lavori per il Metrobus, «sono regolarmente ripresi».

Fonte: "Brescia Oggi"

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08 ottobre 2006

Milano. Dagli scavi in centro sbuca l'antica città romana

Sotto gli Ottovolanti delle Varesine, in una zona da anni abbandonata, i lavori di movimento terra disposti per la riqualificazione urbana del quartiere stanno portando alla luce un ampio sito archeologico.
Il campo di scavo, grande come un isolato urbano, parte da via Vespucci, percorre in parte via Melchiorre Gioia, corre lungo viale della Liberazione per girare in via Galilei. Oggi, chi guarda con occhio attento al di là della nuova palizzata alta quasi due metri che difende i reperti dalla vista, nota spuntare fra le erbacce e sullo sfondo dei grattacieli una lunga serie di archi in parte ancora sotto terra, alcune mura e le tracce, forse, di costruzioni successive.
Datare il materiale è difficile per un profano ma la struttura rivelata dagli scavi ed emersa da secoli di oblio sembra molto ma molto antica. C'è chi azzarda, addirittura che si possa trattare di resti tardo-romani ancora semisepolti dalla terra e dalla polvere e quindi destinati, dopo gli opportuni lavori di recupero, ad apparire molto più alti di come sembrino adesso.
Lo spazio archeologico è di grandissime dimensioni, uno dei maggiori ritrovati a cielo aperto a Milano negli ultimi anni (probabilmente dai tempi degli scavi della metropolitana).
L'insediamento venuto fuori, oltre alla sequenza di archi regolarmente distanziati e costituito da mattoni di terracotta (poi riempiti di laterizi a riprova di un uso diverso e successivo alla costruzione) mostra alcune mura anch'esse di mattoni ma di largo spessore che fanno pensare ad una cinta difensiva, non di natura militare. Ci sono anche un muretto più basso di epoca probabilmente precedente ed una serie archi ciechi.
Analizzando bene le carte d'epoca che mostrano il decumano romano (si estendeva attorno a via Circo, all'Anfiteatro e all'attuale corso Magenta su un'asse che raggiungeva Porta Romana), si viene a scoprire che dal centro, attraverso l'attuale via Manzoni, (dove le vestigia imperiali sono attualmente in mostra) partiva una strada che doveva collegare Milano proprio con le zone esterne attraversando gli attuali Giardini Pubblici di via Manin e salendo verso la pianura. Quindi, più o meno, si troverebbe proprio lungo l'insediamento apparso in questi mesi. E' chiaro, in ogni caso, che solo l'analisi degli addetti ai lavori potrà dirci davanti a cosa ci troviamo, al di là della bellezza di quanto apparso sotto le rovine.

Fonte: "Il Giorno"- Autore: Luisa Ciuni

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04 ottobre 2006

Orvieto (Tr): dubbi sul ritrovamento del Fanum Voltumnae

Il santuario etrusco individuato dall’équipe dell’Università di Macerata a Campo della Fiera potrebbe essere quello cercato da secoli, ma molti studiosi ed esperti in Etruscologia invitano alla cautela. Tra di essi vi è il prof. Giovanni Colonna, ordinario di Etruscologia e Archeologia Italica all'università ''La Sapienza'' di Roma, nonché Accademico dei Lincei. ''Prima di gridare all'eccezionalita del ritrovamento del santuario federale degli Etruschi- afferma parlando all'ADNKRONOS- , ci andrei cauto, serve prudenza, perché mancano ancora elementi importanti che ci possano far affermare che siamo davvero in presenza del Fanum Voltumnae''. Importanti le obiezioni sollevate dall'archeologo. ''Si è un po' sconcertati dalle piccole dimensioni dell'edificio sacro rinvenuto - spiega il professor Colonna - che sono di soli 6 metri per 6. Anche se questo non è un elemento dirimente. Ma soprattutto -aggiunge- invito alla prudenza perché non sono stati ancora ritrovati doni votivi e non sono state ancora rinvenute le iscrizioni al dio Voltumna. Prima di dire che questo è il santuario federale, il 'Concilium Voltumnae' -sottolinea- attenderei questi elementi''. Alcune circostanze, invece, secondo il professor Colonna, potrebbero ''deporre a favore del luogo in cui è stato fatto il ritrovamento. L'ubicazione della Lega etrusca a Volsinii - conclude l'archeologo - risale infatti al re Porsenna, all'ultimo quarto del VI secolo a.C." L'importanza di ritrova l'iscrizione sacraria è sottolineata anche dal prof. Mario Torelli, ordinario di Archeologia Classica all'Università di Perugia ed esperto di Etruscologia. ''Personalmente -ha dichiarato all'ADNKRONOS- credo alla scoperta, ma la mia convinzione personale è ben diversa e lontana dall'essere un fatto scientifico. Comunque, non si potrà avere la certezza assoluta finché non si ritroverà l'iscrizione, ma, francamente, credo sia improbabile che succeda''. ''Si aspettano quindi comunicazioni di tipo scientifico - continua l'esperto - seppur siano stati ritrovati resti che vanno dall'età etrusca a quella romana avanzata che potrebbero essere stati inseriti nel santuario. Detto ciò, ci sono i termini secondo i quali è possibile pensare che quello ritrovato sia il santuario, molti elementi sembrano attestarlo, in particolare i mosaici di epoca tarda favoriscono l'ipotesi''. Secondo Torelli ''non è assolutamente da escludere che il santuario fosse stato costruito nelle vicinanze delle tombe, come qualcuno avrebbe supposto; d'altronde le necropoli sono distanti circa 400 metri dal ritrovamento''. Allo stesso tempo, ''non è detto che il santuario dovesse essere stato costruito nelle città all'epoca più influenti di Orvieto - continua il professore - non doveva esserci necessariamente un collegamento tra importanza economica e politica con quella religiosa. In ogni caso - tiene a precisare Torelli - attendiamo una verifica scientifica''. Ma il più scettico sul 'fanum' ritrovato a Orvieto non è uno studioso né un archeologo di professione: è Omero Bordo uno dei massimi esperti sul campo di scavi e ritrovamenti etruschi. La sua è stata fin da giovanissimo un'autentica passione che lo ha portato a creare a Tarquinia 'Etruscopolis', una sorta di cittadella dove sono stati collocati plastici, modelli di tombe e di dipinti. Come però i professori più blasonati, Bordo, fin dall'annuncio della scoperta, ha avanzato dubbi motivati dalla collocazione del santuario, dalla vicinanza del fanum alle necropoli, pur ammettendo pero' che bisognerebbe valutare i reperti da vicino. ''A livello teorico - ribadisce - sono assolutamente e fermamente convinto che non può trattarsi del 'fanum', per una semplice motivazione: gli etruschi non costruivano locali del genere nelle vicinanze di tombe, neanche se queste si trovassero a 300 metri di distanza. Altro questione - aggiunge Bordo - sarebbe se tale ritrovamento fosse stato fatto al centro della cittadina. Inoltre, bisogna chiedersi che se questo è il 'fanum' dove sono le poltrone sulle quali sedevano? Dovrebbero essere scavate nella roccia e al lato della sala per il 'concilium'. Era in questo modo che ciascuno dei membri della Lega etrusca si disponeva quasi fosse un senato. Infine - conclude - se si aspetta di ritrovare una qualsiasi iscrizione per verificare l'esistenza del ritrovamento è un'attesa vana: ammesso che si trovasse non sarebbe decifrabile, la scrittura degli etruschi è di difficile comprensione, ogni popolazione scriveva nel proprio dialetto''.

Fonte: "Adnkronos" - 2 settembre 2006 -

Pagina di approfondimento storico-archeologico dell'Umbria

02 ottobre 2006

Roma. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Museum of Fine Arts di Boston

IL MUSEUM OF FINE ARTS DI BOSTON TRASFERISCE IN ITALIA TREDICI OPERE ARCHEOLOGICHE.

Il 28 settembre 2006, il Museum of Fine Arts di Boston ha trasferito in Italia tredici opere archeologiche di grande prestigio. Le opere, portate a Roma nei giorni scorsi, sono state mostrate per la prima volta durante questo incontro in cui è stato siglato l'accordo che segna una nuova era negli scambi culturali fra il Museum of Fine Arts di Boston e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Francesco Rutelli ha dichiarato: "Sono orgoglioso di annunciare questa pagina storica nella cooperazione internazionale contro i traffici illeciti di opere d'arte. L'altissimo valore delle opere trasferite ma, soprattutto la qualità e l'intensità del rapporto che oggi abbiamo stabilito con il Museum of Fine Arts di Boston, resteranno agli atti come fondamentale momento di reciproco aiuto nella salvaguardia e nella valorizzazione del patrimonio culturale dell'umanità. E' motivo di soddisfazione che questo merito vada, oggi, a un museo di enorme prestigio come il Museum of Fine Arts di Boston con il quale sottoscriviamo un accordo che farà sicuramente da riferimento alle prossime e, speriamo, altrettanto proficue intese con altre istituzioni museali nel mondo".

Malcom Rogers, direttore del MFA, ha dichiarato: "il Museum of Fine Arts di Boston e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali collaborano per vedere la fine degli scavi e dei commerci illeciti di antichità" e poi "il nostro accordo con il Governo Italiano celebra una nuova e stimolante era di collaborazione in cui tutte le parti coinvolte possono condividere il meraviglioso ed enorme patrimonio artistico mondiale".

L'accordo prevede l'impegno del Governo Italiano a concedere prestiti di importanti opere d'arte al MFA per alcuni particolari programmi espositivi.
Inoltre include una nuova procedura secondo la quale il MFA e l'Italia instaurano uno scambio di informazioni costante riguardo le future acquisizioni del Museo di opere archeologiche provenienti dall'Italia. Infine prevede la creazione di borse di studio, scambi di know-how riguardo la conservazione delle opere d'arte, le procedure di indagini per il recupero delle stesse e, come già detto, la pianificazione di un programma espositivo.

L'accordo, che segue molti mesi di trattative e due incontri svoltisi a Roma lo scorso maggio e luglio, viene sottoscritto oggi, alla presenza del ministro Francesco Rutelli, da Malcom Rogers, Direttore del Museum of Fine Arts di Boston e Giuseppe Proietti, Capo del Dipartimento per la Ricerca, l'Innovazione e l'Organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Il Museum of Fine Arts di Boston è, tra i musei americani, il più importante promotore nel rendere fruibili a tutti gli oggetti antichi delle sue collezioni e la loro provenienza, attraverso un web site che contiene, a tutt'oggi, 330.000 oggetti(www.mfa.org/collections).

Francesco Rutellli ha in programma una visita a Boston, alla fine di novembre, per sottolineare la qualità della collaborazione instauratasi fra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Museum of Fine Arts di Boston.

Per celebrare questo evento straordinario le tredici opere provenienti dal MFA di Boston, saranno in visione al pubblico al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme dal 10 ottobre 2006 per una settimana, prima di essere ricollocato nei musei dei territori di origine.
Informazioni: Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo - Largo Peretti, 1 Roma - tel.06 39967700

OPERE TRASFERITE DAL MUSEUM OF FINE ARTS, BOSTON - informazioni sulle tredici opere antiche trasferite in Italia, inclusa la loro provenienza e immagini in alta risoluzione

1) Anfora apula a figure rosse attribuita al Pittore di Dario, 340-330 a.C. (altezza cm. 88,3).
L'anfora, proveniente dalla Puglia, raffigura l'assassinio di Atreo, una figura molto cara alla mitologia greca, figlio di Pelope e di Ippodamia, fratello di Tieste e padre di Agamennone e Menelao. Atreo e Tieste furono vittime della maledizione caduta sulla loro famiglia, gli Atridi. La maledizione si estese a tutti i discendenti e solo Oreste, nipote di Atreo, riuscì a liberarsene con l'aiuto di Apollo. La scena rappresenta in modo drammatico l'uccisione di Atreo per mano di Egisto, frutto dell'incestuosa unione tra Tieste e la figlia Melopea.

2) Loutrophoros apula attribuita al Pittore del Sakkos Bianco, 320-310 a.C. (altezza cm. 80).
Proveniente dalla Puglia, il vaso è decorato nella parte centrale da una scena raffigurante Pelope e Ippodamia su un carro. Pelope, che nella mitologia greca diede il nome alla regione del Peloponneso, era figlio di Tantalo, che lo uccise e offrì le sue carni agli dei durante un banchetto per mettere alla prova la loro onniscienza, ma gli dei respinsero inorriditi il piatto di carne, punirono Tantalo e riportarono in vita Pelope, riunendo le parti smembrate del suo corpo. Pelope sposò Ippodamia figlia di Enomao dopo aver vinto e ucciso quest'ultimo durante una corsa di carri.

3) Statua in marmo raffigurante Vibia Sabina, 136 d.C. (altezza m. 2,2)
La statua proviene con molta probabilità da Villa Adriana a Tivoli e raffigura la moglie dell'imperatore Adriano.

4) Supporto triangolare in marmo, 20-60 d.C. (altezza cm 41)
Il frammento architettonico era destinato a sostenere un candelabro o una piccola colonna e, presumibilmente, proviene da Villa Adriana. Sui tre lati sono raffigurati Hermes, Dioniso e Artemide rappresentati in movimento verso sinistra.

5) Nestoris lucana, pittore di Amykos, 420-410 a.C. (altezza cm. 49,6)
La nestoris proviene dalla Lucania ed è decorata nella parte centrale del corpo con scene raffiguranti atleti in conversazione con giovani donne. L'alta fascia sottostante presenta una minuziosa decorazione di tipo geometrico.

6) Nestoris lucana attribuita al Pittore di Amykos, 420-410 a.C. (altezza cm. 28)
Di provenienza lucana, come la precedente, il vaso è stato attribuito al Pittore di Amykos, uno dei ceramografi più famosi nell'area di Metaponto, per la raffinatezza del linguaggio pittorico e la leggiadria delle figure.
Rappresenta un guerriero osco seduto su una roccia con in mano lo scudo e una lancia. Il copricapo è tipico della cultura lucana. Davanti al guerriero è raffigurata una fanciulla che gli offre una spada corta. Sul lato opposto è rappresentata una donna che indossa il chitone e porta in mano un tirso mentre si volta verso un satiro itifallico che la insegue protendendo le braccia.

7) Kalpis attica a figure rosse, pittore di Berlino, 485 a.C. (altezza cm 40,2)
La kalpis proviene dall'Etruria e vi è dipinto il dio Apollo mentre offre un sacrificio davanti a importanti divinità del pantheon greco: Artemide, Hermes e Latona posti al fianco di un altare.

8) Lekythos attica a figure rosse, attribuita al pittore di Terpaulos, 500-490 a.C (altezza cm. 37)
Non se ne conosce la provenienza ma si tratta certamente di un vaso molto raro per la presenza della decorazione figurata sulla spalla. Inoltre le scene rappresentate sono sovrapposte e mostrano la morte di Egisto accoltellato da Oreste, Clitennestra con la doppia ascia che si scaglia contro lo stesso Oreste, mentre Telamede cerca di fermarla. In uno spazio tanto ridotto, il pittore ha magistralmente rappresentato scene complesse della mitologia.

9) Cratere attico a figure rosse del Pittore della Centauromachia del Louvre, 440-430 a.C. (altezza cm 35,3)
Il cratere, proveniente dall'Etruria, è abilmente dipinto con scene di cacciatori traci, facilmente riconoscibili dalla minuziosa definizione degli abiti e dei copricapi.

10) Lekythos attica a figure nere del Pittore Diosphos, 490 a.C (altezza cm 20,8)
Sulla lekythos, di chiara provenienza etrusca, è dipinta la scena di una delle fatiche di Ercole. In particolare è rappresentata l'immagine di Ercole, assistito dal nipote Iolao, che suonando nacchere, chiamate anche crotali, spaventò gli uccelli voraci e chiassosi che nei boschi attorno al lago Stinfalo, in Arcadia, devastavano i campi con le loro penne bronzee ed i loro escrementi velenosi e, nutrendosi di carne umana, tormentavano gli abitanti.
Erano talmente numerosi che volando oscuravano il sole. Al suono prodotto da Ercole si alzarono in volo terrorizzati e fuggirono in tutte le direzioni, talmente spaventati da scontrarsi fra loro. L'eroe continuò a suonare finché anche l'ultimo uccello scomparve all'orizzonte. Compiuta l'impresa, Ercole concimò con gli escrementi i campi e portò ad Euristeo come prova i corpi di alcuni uccelli. Particolarmente interessanti sono le iscrizioni prive di senso che servivano esclusivamente a conferire maggior pregio all'oggetto.

11) Pelike attica a figure rosse del Pittore di Nausicaa, 450 a.C. (altezza cm 21,3)
La pelike, proveniente dall'Etruria, è decorata con pitture che ricordano il mito di Fineo e le Boradi. Fineo, figura della mitologia greca, figlio di Agènore e di Cassiopèa e marito di Cleopatra figlia di Borea, ebbe da lei due figli. Questi si innamorarono di Idea che li accusò di averle fatto violenza e per questo Fineo non esitò ad accecarli, suscitando lo sdegno di Borea, loro avo, il quale a sua volta accecò Fineo per punirlo. Infine, per aver dato ospitalità al troiano Enea, suscitò le ire di Giunone e Nettuno che, come punizione, gli inviarono le Arpie (figure femminili alate con aguzzi artigli con cui rapivano i bambini e le anime) a contaminargli le mense. Fu liberato da questo flagello solo molto più tardi ad opera di due Argonauti, Colai e Zete.

12) Cratere a campana apulo attribuito al Pittore di Hoppin, 380-370 a.C. (altezza cm 36,2)
Il cratere di provenienza apula, è dipinto con scene di Achille e Troilo sul cavallo. Il racconto pittorico rievoca un fatto di sangue che ci riporta ai tempi dell'assedio greco alla città di Troia. Troilo, il più giovane dei figli del re troiano Priamo, in groppa al suo cavallo con la mano destra tiene strette le redini, la sinistra sostiene una lunga lancia. Il cavallo, slanciato e dai tratti eleganti, con alta criniera e lunghissima coda, si avventa contro Achille, colto nel momento in cui sta per sferrare il suo attacco. Ha il corpo seminudo ma è in assetto da guerra con scudo e spada di fattura greca. Il suo piede sinistro è in avanti mentre il destro, arretrato, ne sostiene lo slancio facendo leva sulle dita. Il braccio destro è proteso in avanti, quasi a guidare l'assalto, il sinistro brandisce in alto la spada. Il destino del giovane è ormai segnato.

13) Hydria attica a figure nere attribuita alla cerchia del Pittore di Antimenes, 530-520 a.C. (altezza cm 46, 2)
Il vaso, proveniente dall'Etruria, in particolare dall'area di Vulci, mostra sul corpo quattro cavalieri barbari in marcia mentre nella fascia ristretta inferiore sono raffigurati due leoni che sbranano un animale. Sulla spalla una scena di partenza di guerrieri sul carro.

Fonte: "Archeomedia" - ARCHEOMEDIA

01 ottobre 2006

Lucca. Riaffiora una "Pompei di fango" a Capannori

Gli archeologi, ammirati, l'hanno gia' ribattezzata ''la Pompei di fango''. E' un'ampia area nel Comune di Capannori (Lucca), in cui gli scavi dovuti alla costruzione del casello autostradale, stanno riportando alla luce un grande villaggio rurale di epoca romana, rimasto sepolto, nel 50 a.C. sotto una coltre di fango, durante una terribile alluvione. Il villaggio di contadini, affermano gli esperti che stanno conducendo gli scavi, e' rimasto praticamente intatto, come Pompei, sepolta invece nel 79 d.C dalla lava del Vesuvio.
Tra i ritrovamenti piu' importanti del sito, lo scheletro intatto di un cane, ancora legato alla catena. Al di sotto ed all'interno del sedimento alluvionale, a circa 80 centimetri di profondita', e' stato ritrovato un intero villaggio costituito da grandi case a struttura lignea, corredate da anfore per l'acqua e impronte di botti. E' stato ritrovato anche lo scheletro di un neonato, che come il cane non e' riuscito a scampare alla furia del cataclisma alluvionale, proprio come le 'mummie' di Pompei rimaste imprigionate tra i lapilli.

Fonte: "Adnkronos" - 1 settembre 2006 -

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